Venezia, 3 settembre 2024 – Un paesino di montagna del Trentino, in Val di Sole, nell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale. Un microcosmo nel quale arriva un soldato rifugiato: e nel momento in cui finisce la guerra nel mondo, una famiglia perde la pace. Ricorda il cinema di Ermanno Olmi, ma con una specie di retrogusto destabilizzante, Vermiglio di Maura Delpero, in uscita nelle sale italiane il 19 settembre. È il secondo film italiano in concorso a Venezia, passato ieri, ed è il secondo film da regista di Maura Delpero, che con il film d’esordio, Maternal, aveva ricevuto una menzione speciale al festival di Locarno. Sono descrizioni umane in chiaroscuro, sempre spiazzanti.
C’è un capofamiglia, interpretato da un eccellente Tommaso Ragno, che è l’intellettuale del luogo: insegna la mattina ai bambini e agli adolescenti, e la sera agli anziani. Ha sette figli da nutrire, ma si fa mandare dalla città un disco, un vinile prezioso. "Questo nutre l’anima", ribatte alla moglie. In famiglia, l’uomo è un patriarca assoluto, dispone del destino dei suoi figli e delle sue figlie: chi potrà studiare e chi invece no. Ma il destino ha delle ragioni che la ragione non conosce. Vermiglio è come attraversato da un malessere profondo, una sorta di male di vivere che sembra prendere tutti. Tutta quella umanità spoglia, disadorna, dimenticata dalla Storia.
"È un film che nasce da un sogno", dice la regista Maura Delpero, 48 anni, bolzanina. "In sogno mi era apparso mio padre: ma non aveva l’età di quando l’ho conosciuto. Era un bambino di sei anni, e stava nella sua casa d’infanzia in val di Sole. Sono partita da questa immagine. Ho cercato di immaginare luoghi e persone che conosco, ma in tempi che non ho conosciuto".
Lo sguardo del film sembra avvicinarsi spesso allo sguardo dei figli e delle figlie, più che a quello degli adulti: "I bambini portano uno sguardo nuovo, ironico. Anche nel dolore, sono la spinta verso il futuro". E la montagna intorno a Vermiglio, paese di milleottocento anime che esiste realmente in Trentino, è l’altra protagonista. "Volevo raccontare la montagna, imponente, perché questa è la storia di una comunità montanara. Sarebbe stato diverso, se avessi raccontato questa storia in città, o al mare. Volevo la ‘scusa’ di un posto isolato, dove il grande rumore della guerra arriva come attutito, schegge, riflessi. Quel paesino è come una piccola trincea toccata dalla guerra".