Domenica 29 Settembre 2024
GIOVANNI SERAFINI
Magazine

Una Venere Nera tra i grandi del Pantheon

Tra due settimane Macron deciderà se concedere l’onore a Joséphine Baker, icona sexy anni ’30 e agente segreto della Francia Libera

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di Giovanni Serafini

Sarà la settima donna accolta fra i Grandi del Pantheon. Joséphine Baker, la vedette che negli anni Trenta ballava nuda con una cintura di banane, la “Venere Nera” che fu agente segreto della Francia Libera durante la Seconda guerra mondiale, riposerà accanto a Simone Veil, alle scienziate Marie Curie e Sophie Berthelot, alle ex deportate Germaine Tillion e Geneviève de Gaulle, alla militante femminista Gisèle Halimi, uniche donne fra gli 81 uomini (da Voltaire a Rousseau, da Victor Hugo a Emile Zola, da Alexandre Dumas a André Malraux) del mausoleo francese.

È stato Brian Baker, uno dei suoi 12 figli adottivi, a lanciare la petizione affinché la Francia renda onore a quella che fu la musa di Hemingway e Colette, la star che dominò i palcoscenici d’Europa e morì in miseria circondata dalla sua “tribù multicolore”, gli orfani che aveva raccolto in tutto il mondo. Un’iniziativa analoga era stata promossa cinque anni fa dallo scrittore Régis Debray, che aveva ricordato all’allora presidente Hollande i meriti di Joséphine: non solo la partecipazione attiva alla Resistenza (per cui venne decorata con la Legion d’onore da De Gaulle), ma anche la battaglia condotta per decenni in difesa dei diritti delle donne e contro tutti i razzismi. Hollande non ne fece niente.

Toccherà al suo successore Emmanuel Macron prendere la decisione: il 3 giugno, anniversario della nascita di Joséphine, Brian Baker consegnerà le firme della petizione al presidente, che lo accoglierà all’Eliseo insieme ai suoi fratelli e sorelle adottati. Ci saranno i francesi Marianne, André e Jean-Claude, i giapponesi Akio e Janot, il colombiano Luis, il finlandese Jari, l’ivoriano Koffi, la marocchina Stellina, la venezuelana Mara. Mancherà all’appello solo Moise, che a 9 mesi morì in braccio a Joséphine. "Dovete andare a scuola e imparare a proteggervi con la penna, non con la pistola", li aveva ammoniti la madre poco prima di spegnersi a Montecarlo, dove aveva trovato un tetto grazie alla principessa Grace, e dove è sepolta.

"Era bellissima, elegante, seducente, alta 1 metro e 70, con 56 di fianchi, una figura forte e snella, due occhi che bucavano come spilli, una sensualità che ti stordiva: una donna straordinaria di giorno come di notte", diceva di lei il regista Bunuel, uno dei tanti che soccombettero al suo fascino, da De Gaulle a Mitterrand, dal coreografo Balanchine all’architetto Le Corbusier. "Ha un culo che ride e potrebbe diventare oggetto di culto. Ma non c’è solo quello, ci sono i suoi capelli neri, le sue gambe nervose, la nudità dei suoi occhi e i suoi incredibili seni che non sono grossi ma terribilmente belli e dal dolce contorno", confessò Georges Simenon in un’intervista al New York Times: "È stata una dei grandi amori della mia vita. C’è mancato poco che ci sposassimo, ma io non avevo un soldo e lei era ricchissima e famosa. Non mi andava l’idea di diventare Monsieur Georges Baker".

Freda Joséphine McDonald (Baker era il nome del suo secondo marito) nacque povera e meticcia il 3 giugno 1906 a Saint -Louis, nel Missouri. Un’infanzia difficile, le notti su un pagliericcio infestato dalle cimici, la sveglia all’alba per andare ai mercati generali a raccogliere le verdure cadute dai camion. Un matrimonio a 13 anni per sfuggire alla miseria (con Willie Wells, un operaio delle acciaierie che la piantò dopo pochi mesi), poi le prime esibizioni in un baraccone di saltimbanchi, il lavoro come cameriera, l’assunzione in una troupe che faceva una tournée nel Tennesse: "Mangiavo e dormivo quando potevo, i miei insegnanti di danza furono i canguri". Approdata a Broadway ebbe vita dura: le altre ballerine la snobbavano, la chiamavano “la scimmia”. Ma il pubblico applaudiva solo lei. Nella speranza di ottenere una pelle più chiara, la futura vedette delle Folies Bergère si cospargeva il corpo di vaselina prima di dormire; per i capelli usava un unguento, il Mary’s Congolene, che una volta le bruciò i capelli.

Nel 1925 la grande avventura parigina della Revue Nègre le spalancò le porte del successo: ad applaudire quella “pantera nera” vestita di piume alle caviglie e ai fianchi c’era tutta Parigi, Fernand Léger, Van Dongen, Cendrars, Maurice Chevalier... "Le labbra dipinte di nero, un corpo che si snoda come un serpente, una danza che non conosce il minimo pudore, una voce che dà i brividi". Molti giornali gridarono allo scandalo: "Il suo modo di muoversi è indecente, sembra che faccia l’amore in scena, si agita come se fosse in un casino di Harlemi". Ma ormai nessuno l’avrebbe più fermata: la “Fifine” che cantava J’ai deux amours, mon pays et Paris avrebbe calcato le scene fino all’ultimo. Morì il 12 aprile 1975, a 68 anni, pochi giorni dopo essersi esibita al Bobino di Parigi in uno spettacolo che raccontava la sua vita.