Mercoledì 31 Luglio 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

Una Montagna magica e inquieta. Le guerre nella profezia di Mann

Al Cimitero germanico della Futa la terza parte dello spettacolo di Archivio Zeta. Piena di assonanze col presente

Una Montagna magica e inquieta. Le guerre nella profezia di Mann

Una scena della seconda parte (2023) della Montagna incantata allestita da Archivio Zeta al Cimitero militare germanico della Futa

Alla fine di tutto arriva l’attore che interpreta il Mago, cioè Thomas Mann, l’autore della Montagna incantata, e intanto dagli amplificatori sgorga una voce in tedesco. Parla un uomo maturo, alle prese con un discorso impegnativo. "Lo riconoscete? – chiede il Mago – Forse no, ve lo dico io: questa è la mia voce". Nel cortocircuito spazio-temporale l’attore prosegue: "È uno degli interventi che feci alla Bbc, per mettere in guardia i miei connazionali contro il nazismo. Era il ‘32, prima ancora che Hitler arrivasse al potere...". La terza e ultima parte della Montagna incantata, allestita dalla compagnia teatrale Archivio Zeta, l’altra sera al Passo della Futa, ha creato un imprevisto nesso fra gli orrori del Novecento e i pericoli incombenti nel presente. Tanto più che la rappresentazione itinerante – magnifica, come le due precedenti delle scorse estati – si è tenuta in un luogo speciale, a suo modo conturbante, come il Cimitero militare germanico; un luogo in qualche misura “magico”, come la montagna del romanzo. È un cimitero insolito, avvolgente, a forma di spirale, sulla sommità di un colle al valico fra Emilia e Toscana; un luogo battuto dal vento, con trentamila soldati tedeschi, uccisi in Italia durante la seconda guerra mondiale, sepolti sotto sobrie lastre di pietra (nessuna croce), e una grande ala, o forse una vela monumentale a sorvegliare il tutto. Un cimitero antiretorico, verrebbe da dire antimiliarista.

In un posto così, alla sommità di un colle disabitato, con le sole cime dei monti intorno, il dialogo fra Lodovico Settembrini e il gesuita Leo Naphta, entrambi ospiti della clinica di Davos in cui è ambientato il romanzo, è un momento di grande tensione e drammaticità. Il primo è un umanista e internazionalista, l’altro un cultore del medioevo e della rivoluzione: sono intellettuali vigorosi, pieni di contraddizioni, eppure entrambi preda di un incontrollato furore bellicista, in un clima di esaltazione della guerra. E poi, in un crescendo inesorabile, il finale del romanzo, ancora la guerra (la Grande Guerra) come destino di Hans Castorp, il protagonista del romanzo, salito a Davos a trovare un parente e lì rimasto per sette anni, in un’esplorazione umana, filosofica e storica nella quale, a cent’anni dalla pubblicazione del libro, continuiamo a specchiarci e confrontarci.

Archivio Zeta ha portato a termine la sua missione: rappresentare la Montagna incantata al Cimitero germanico, allestendo scene en plein air, col pubblico che segue gli attori e assiste seduto su panche e muretti, a volte sul prato; un allestimento di grande suggestione e forte coinvolgimento, grazie ad attori impeccabili e a testi necessariamente ridotti, ma non semplificati. Una rappresentazione che chiede molto al pubblico – attenzione, pazienza, silenzio – ma anche molto dà.

Assistere (e partecipare) a questo terzo episodio, avendo negli occhi e nelle orecchie le immagini e le notizie delle “nostre” guerre attuali, quella in Ucraina, l’altra nel Mediterraneo, è un’esperienza forte e rivelatrice, un cortocircuito – appunto – con la storia. Si pensa alla Grande Guerra, per la quale parte Castorp, cui somiglia il conflitto di trincea e di posizione in Ucraina, e anche all’altra carneficina del ‘900, lo spettro che affiora ogni volta che si parla – sempre più spesso – di una terza guerra mondiale, forse già cominciata.

Gianluca Guidotti, anima (con Enrica Sangiovanni) di Archivio Zeta, e il Settembrini di questo allestimento, a fine spettacolo non ha nascosto la sua stessa sorpresa, e i conseguenti patemi: "Abbiamo pensato questo spettacolo durante la pandemia, sapendo che ci avrebbe impegnato per tre anni. Oggi ci ritroviamo a chiuderlo con due guerre vicino a noi". Come dire: la prospettiva iniziale era quella della malattia personale e collettiva, col sanatorio di Davos come metafora, ma alla fine l’assonanza più forte è con l’altro tema del romanzo, la malattia della guerra, così vicina e così incombente da indurre foschi pensieri nello spettatore, che a spettacolo finito sente ancora risuonare il “duello” di parole – ma anche di pistole – fra Settembrini e Naphta, così diversi per temperamento e idee, ma così simili nell’esito funesto del loro ardore.

È così che le parole del Mago alla Bbc, anche se incomprensibili a chi non conosca il tedesco, arrivano al cuore e fanno piegare la testa, nell’incamminarsi silenziosi verso l’uscita, con l’inquietante sensazione di avere di fronte, come nel grande romanzo di Mann, un destino ineluttabile.