di Matteo
Massi
C’è un’amabile conversazione tra Francesco Rosi e Giuseppe Tornatore che è poi diventata un libro Io lo chiamo cinematografo (Mondadori edizioni). A un certo punto mentre i due parlano di Salvatore Giuliano, film di Rosi, toccano Il caso Mattei, altro film di Rosi. "Giuliano è l’ultimo film in cui ho messo la parola fine nei titoli di coda – racconta Rosi –. Come puoi scrivere la parola fine a Lucky Luciano, Il caso Mattei e Cadaveri eccellenti?".
La domanda è volutamente retorica e infatti se si scorrono i titoli di coda de Il caso Mattei la parola fine non c’è. È il 1972, a dieci anni esatti da Bascapé, e dopo quasi due anni di lavoro Rosi riesce nel suo intento: fare un film su Enrico Mattei. Il protagonista è uno dei suoi attori-feticcio Gian Maria Volonté che come dice lui impersonifica, non interpreta. "La sceneggiatura era precisissima – raccontò Volonté (che, come ricorderà lo stesso Rosi, rapito dalle immagini del Mattei reale si era messo a camminare perfino con i piedi piatti) – anche perché si trattava di un materiale complesso dato che all’epoca parlare di petrolio era come parlare di qualcosa di strano e quasi sconosciuto. Per fare il personaggio di Enrico Mattei ho dovuto certamente documentarmi anch’io. E in modo critico, facendomi un’idea del personaggio reale che Mattei era stato".
A quella sceneggiatura collaborò anche Mauro De Mauro. È la fine di luglio del 1970 quando Rosi contatta il giornalista de L’Ora – e corrispondente anche de Il Giorno – e lui (a sorpresa) sta per essere trasferito dalla cronaca allo sport. Senza alcuna motivazione evidente. De Mauro che aveva seguito Mattei negli ultimi due giorni a Gagliano, in Sicilia, accetta la proposta di Rosi. Ritorna nel paese, in provincia di Enna, e riusce a farsi consegnare dal gestore del cinema locale anche il nastro con il discorso che Mattei tenne quel giorno (e che, con il volto di Volonté, nel film viene riprodotto quasi integralmente). Ma De Mauro non riuscirà a portare a termine il suo lavoro. Il 16 settembre sparisce nel nulla, praticamente a due passi dalla sua Bmw e sotto l’abitazione, in via Magnolie, a Palermo. Nel film di Rosi, De Mauro ha una sua parte: viene interpretato da Aldo Barberito (anche se la voce è di Mariano Rigillo) che viene dal mondo dei poliziotteschi.
Il film di Rosi esce, finalmente, all’inizio del 1972. Il regista non nasconde e lo dice apertamente di aver subito delle minacce anonime al telefono. "Rassicuravo mia moglie – racconta sempre nel libro scritto con Tornatore – sostenendo che fossero dei fanatici". E viene accolto molto bene dalla stampa dell’epoca.
L’opera viene costruita su due piani: quello biografico (Rosi va a trovare a casa Ferruccio Parri che, da presidente del Consiglio, fu convinto da Mattei a non liquidare l’Agip e che compare nel film) e quello d’indagine che subisce un’accelerazione, anche nella sceneggiatura, dopo la scomparsa di De Mauro.
Al festival di Cannes l’accoglienza è clamorosa e vince la Palma d’Oro ex aequo con un altro film italiano, La classe operaia va in Paradiso, di Elio Petri, con Volonté sempre protagonista (l’attore riceverà così una menzione speciale).
Nel presentare Il caso Mattei Francesco Rosi disse: "Il mio film tende solo a capire perché il delitto è stato possibile, se di delitto si è trattato". Lasciando aperte entrambe le ipotesi (delitto e incidente). E anche per questo la parola fine, nei titoli di coda, anche 60 anni dopo, non può esserci.