Roma, 22 agosto 2023 – Toto Cutugno nel 2018 rilascio a Quotidiano Nazionale un’intervista dove si raccontò a tutto tondo alla nostra firma Andrea Spinelli. Intervista che vi riproponiamo in formato integrale.
Cutugno che gli fa lei ai russi?
“Alcuni giornalisti di lì dicono che l’atmosfera delle mie canzoni ricorda quella dei musicisti che popolano da sempre il quartiere dell’Arbat. Stessa vena malinconica. Almeno dieci ballate le ho scritte in quella chiave, a cominciare da ‘Soli’, ‘Il tempo se ne va’, ‘Serenata’ e, naturalmente, ‘L’italiano’”.
Zar in Russia, Cutugno in Italia.
“Effettivamente ho un successo esagerato all’estero, ma in Italia non riesco a suonare. O meglio, non mi arrischio. La fruizione della musica è molto cambiata negli anni e non so come andrebbero le cose se programmassi un tour”.
Anni fa aveva fatto ditta con Al Bano e Umberto Tozzi, ma la storia non ha poi avuto seguito.
“Ci esibimmo in trio a Sofia, Bulgaria, con l’idea di riproporre poi la formula in Italia. Bibi Ballandi ci propose lanciare i concerti con una trasmissione tv. Ma all’ultimo momento Tozzi ebbe dei problemi e saltarono sia lo show televisivo che il relativo tour”.
Lei l’ex Unione Sovietica la conosce bene.
“L’unica delle 15 ex repubbliche in cui non ho mai cantato è il Tagikistan. Ma a Dushambe prima on poi ci andrò. Due anni fa avrei dovuto cantare pure in Siria, altro paese in cui non sono mai stato, per le truppe. Con il coro dell’Armata Rossa avremmo dovuto ritrovarci all’aeroporto di Mosca per poi proseguire assieme alla volta della base di Latakia. Ma un impegno mi trattenne in Italia e, così, rinunciai; il Tupolev militare precipitò vicino Sochi uccidendo tutti e 84 i passeggeri. Quando si dice il destino”.
Lei ha un feeling particolare col presidente kazaco Nazarbaev.
“Siamo nati quasi lo stesso giorno, lui il 6 e io il 7 luglio, così ci è accaduto spesso di festeggiare i compleanni assieme. Spesso sono andato io ad Astana, ma altre volte è venuto lui. Un anno cenammo all’ultimo piano dell’Hilton di Milano con posate d’oro massiccio che aveva fatto portare appositamente dal suo staff. Pretese che gli cantassi ‘L’italiano’ e lo feci, ma poi lo costrinsi a cantare ‘O sole mio’ e mi accontentò. Male, ma mi accontentò”.
Quali sono stati gli altri no importanti della sua vita?
“Tanti, troppi. E’ che la mia enorme timidezza mi spingeva ad essere ribelle, maleducato, perfino stronzo. Comunque il no più grosso lo dissi nel ’90 o ’91, non ricordo, a Berlusconi”.
Racconti.
“Conducevo ‘Piacere RaiUno’ ed era il mio momento di massima popolarità. Ricevetti un invito da Arcore, dove trovai il Cavaliere ad accogliermi in tuta da ginnastica vicino al famoso pianoforte bianco che tiene in sala. Mi fece fare il giro della casa compreso l’angolo del giardino in cui avrebbe dovuto sorgere il suo mausoleo e la piscina sotterranea circondata da televisori sintonizzati sui principali canali del pianeta. Iniziò a parlare di donne e nel pomeriggio, facendo leva sulla mia fede rossonera, mi portò a San Siro in elicottero per assistere a Milan-Genoa dopo avermi regalato un orologio da polso col suo nome. Fu al Meazza che mi salutò, dopo avermi sussurrato all’orecchio: ‘A lei i soldini piacciono? E allora venga qui con noi che ne guadagnerà parecchi’. Nonostante tutte quelle attenzioni, dissi di no perché avevo promesso alla Rai di fare ‘Domenica In’ volevo rispettare la parola”.
Con un carattere diverso, dove pensa che sarebbe arrivato.
“Non saprei. Per anni i fotografi m’hanno implorato di sorridere ma, nonostante gli sforzi fatti, non credo di esserci mai riuscito. Poi c’erano i rapporti con certa stampa; la critica che mi mandava in bestia era quella di essere un opportunista. Quando scattava la domanda, perdevo il lume della ragione. Avrei potuto diventare un conduttore da sabato sera, ma con quel carattere, niente da fare. Poi è arrivata la malattia e penso di essere cambiato completamente”.
Scusi, ma come si fa a scrivere una canzone in un quarto d’ora e vincere l’Eurovision?
“Strano, ma nel ’90 andò proprio così. Dopo essere arrivato secondo a Sanremo con ‘Gli amori’ ero tornato a ‘Piacere RaiUno’ quando il mio discografico Michele Di Lernia disse: i Pooh l’Eurovision non lo vogliono fare, quindi, se ti va, il posto è tuo. Dovevo portare una canzone nuova e, non sapendo a che santo votarmi, chiesi aiuto ai miei partner televisivi Piero Badaloni e Simona Marchini per scrivere un testo che parlasse di Europa Unita. Poi presi Le Tate di Toto e iniziai ad accennarla assieme a loro. In un quarto d’ora linea melodica e parole erano già abbozzate. Andai a Zagabria e vinsi”.
Quella jugoslava fu una trasferta avventurosa. E non solo per la vittoria.
“Volendo provare l’ebbrezza di vedere la città dall’alto salii su una mongolfiera guidata da un tipo abbigliato alla Indiana Jones. Il pilota voleva fare il brillante, ma l’aerostato iniziò a perdere quota; finimmo nella Sava con l’acqua che ci arrivava al petto e, una volta sulla riva del fiume, chiamai il mio staff che si precipitò a recuperarmi ricoprendo il mongolfierista di male parole”.
Dei tanti che ha scritto, qual è il pezzo a cui si sente più affezionato?
“‘Com’è difficile essere uomini’, perché è dedicato a mio figlio. Nico non è nato dal mio matrimonio con Carla, perché l’ho avuto da un’altra signora. Ora ha 28 anni e una laurea alla Bocconi in economia e management dello show business”.
Sua moglie le ha perdonato pure questa?
“Sì. Perché è la donna più in gamba che abbia mai incontrato. Siamo sposati dal ’71 e Nicolò è diventato pure suo figlio; hanno un rapporto bellissimo. E la mamma di Nico è molto contenta della cosa. Dopo tanti rovesci e tante avventure, per me è una gran soddisfazione vedere che alla fine le caselle della mia vita sono andate tutte a posto”.
La malattia le ha tolto di torno le sigarette.
“Effettivamente sto bene, sono iper-controllato, e provo a curare il tabagismo con l’ipnosi. La mia nuova sfida è smettere di fumare. Anche se ogni tanto, di nascosto, alla Carla qualche sigaretta gliela rubo”.