
Antonio “Teo” Teocoli è nato a Taranto il 25 febbraio 1945
Milano – Sembra quasi uno scherzo. Che mica ci si crede troppo che Teo Teocoli compie 80 anni. Con quello sguardo da birbante senza età. I fianchi ballerini, la voglia matta di stare sul palco. Eppure è così: data di nascita 25 febbraio 1945, quindi vent’anni per la quarta volta. Dettaglio chiaramente buono solo per l’anagrafe.
Dove festeggerà Teo?
"In un locale dell’Ortica con un po’ di amici. Quelli che stanno ancora bene, non siamo in molti. Mi faranno cantare come al solito. Ci ritroviamo in allegria, nello spirito del Derby. Esperienza che mi pare di un altro livello rispetto a quello che si vede passare oggi”.
Iniziamo subito belli carichi.
“D’accordo, però parliamo di un posto dove c’erano dei grandissimi talenti comici e poi magari passava pure Amália Rodrigues a cantare. Mica poco”.
Come vive quindi questo compleanno?
“Mi spaventava molto. Qui a Milano quando devi dire se uno è in grado o meno di fare una cosa, si ripete sempre “l’ha minga ottant’ann…“. Lo diceva anche Jannacci. Oggi invece mi scopro tranquillo”.
Gli amici le chiederanno l’imitazione di Adriano?
“Quella è una benedizione che si è trasformata col tempo in una maledizione. Rimani bloccato nella maschera. Avrò fatto seimila spettacoli, ogni volta imitando Celentano. Il contrario credo non sia mai successo. Ma era lui quello sotto i riflettori. Comunque ci siamo aiutati spesso, c’è stato in tante cose belle. E anche in un paio di casini”.
I casini di solito sono più interessanti.
“Quando non gli andava di fare qualcosa diceva agli impresari di proporla a me. È stato così con il Festival di Napoli, un disastro. Ma anche con Hair dove avevo un bellissimo ruolo, trasgressivo, ma furono tre anni di lavoro durissimo. E poi non mi permise di registrare Nessuno mi può giudicare”.
Il brano di Caterina Caselli?
“Certo. Lui l’aveva rifiutato, non gli piaceva. Ma quel giorno io ero insieme a Miki Del Prete, l’autore della canzone, che provò a farmela registrare negli studi della Phonogram in piazza Cavour. La incisi di notte, venne benissimo. Ma Adriano la sentì e disse che voleva che non se ne facesse nulla, che quella canzone non avrebbe venduto neanche un disco. Peccato che divenne il simbolo di quegli anni... I Vergottini, fratelli parrucchieri, fecero poi il resto. Perché anche il caschetto di Caterina fece storia. Mi sa che però io mi sarei tagliato i capelli in maniera diversa”.
Tanto piaceva uguale.
“Vero. Ero bello, alto, ballavo bene. E poi quando una mi piaceva andavo dritto, mi dimenticavo di tutto il resto. Le donne sono state una malattia, numeri esagerati. Per fortuna ne sono guarito, piano piano, tanto tempo fa. Se no ero ancora qui a ottant’anni in giro a cercar compagnia, per così dire”.
Un bilancio?
“Cinema quasi zero. Tanta tv, tantissimo teatro. Sto bene, lavoro, sono da 65 anni sul palcoscenico. Boldi ne durava un paio”.
Altro commento da viperetta.
“Ma è così. Aveva sempre qualche dolore”.
Un amico su tutti?
“Guido Nicheli, il Dogui. Fu il primo a portarmi in Spagna, a Cadaqués, da Dalì. Poi a Ibiza e lì mi sono innamorato del posto. Ci vado ormai da una cinquantina d’anni, ho la mia “finca”, non vedo il mare ma so che è lì, basta che arrivo in cima alla collinetta con la moto. Le discoteche non mi interessano più, solo calette e ristorantini”.
Che ci faceva da Dalì?
“Piacevo a Gala, sua moglie. Ma quello era un luogo di matti veri, quelli belli. Il segretario se ne andava in giro con una specie di tigre in miniatura sulla spalla. Si beveva solo Campari, una cosa così. Il Dogui non ce la faceva più. Un giorno si gira verso Dalì e gli fa “Uhè animale, ma vino niente?””.
Non ci credo che diede dell’animale a Dalì.
“Giuro. Dalì comunque non lo degnò di uno sguardo. In compenso mi fece entrare nel suo studio, cosa piuttosto difficile. Ricordo appesa al muro la foto di una donna nuda a cosce aperte, di fianco a queste tele su cui disegnava degli elefanti con le gambette”.
Una notte da leoni?
“Tante. Una sera mi ritrovai con Armando Celso a far spettacolo in una specie di circolo per anziani. Cantavo il Cha cha cha della segretaria, si immagini, di fronte ai novantenni. Quando finimmo salutai, saltai sulla mia Kawasaki 900 e corsi in Spagna con la moto. Avevo bisogno di vita”.
Cosa si augura per i prossimi ottant’anni?
“Vorrei che mia moglie e le mie figlie fossero a posto. Per il resto sono sereno. Forse perché ho vissuto una cosa che mi ha colpito molto. C’era mio suocero a letto in coma, non sentiva più nulla. Quando mi sono avvicinato per salutarlo gli ho detto “Ciao Vittorio, sono Teo” e lui ha sorriso. Non so come sia stato possibile ma è successo. E aveva l’espressione di uno che sta andando in un posto bello”.