Roma, 4 dicembre 2017 - Jonathan Crary, nel suo dirompente libro ‘24/7’, fa notare quanto è cambiata la relazione col sonno, e quindi col tempo, durante l’ultimo secolo. «A fronte delle (oggi inconcepibili) dieci ore di sonno dei primi del ’900 – scrive – e delle otto di qualche decennio fa, oggi un americano medio in età adulta dorme in media circa sei ore e mezzo per notte». Il tempo del riposo è stato eroso dal lavoro, dalla vita attiva, da un’organizzazione sociale che penalizza il buio, il silenzio, il raccoglimento. Efficienza, produzione, consumo sono i nuovi regolatori della vita quotidiana. Se prima il termine ‘cronofobia’, cioè l’avversione ossessiva per il trascorrere del tempo, era tipica di carcerati e degenti costretti all’immobilità, oggi quasi tutti riconoscono una punta di questa patologia nella propria relazione con il tempo.
Forse ci vorrebbe un movimento di liberazione del (e dal) tempo, magari accogliendo la lezione che ci arriva dalla fisica quantistica, che ha rimescolato i concetti di spazio e tempo e che indica come il tempo, nella struttura generale del mondo, in fin dei conti non esista. Come dice Carlo Rovelli, autore del best seller ‘L’ordine del tempo’, «dimenticando il tempo tutto diventa più semplice, è più facile capire come funziona il mondo a livello fondamentale».
Ma come si fa a dimenticare il tempo quando sembra di non averne mai abbastanza, quando un’agenda fitta di impegni è indicatore di prestigio sociale, quando la tecnologia offre strumenti di connessione permanente? Insomma, che sta succedendo al tempo? Perché sta diventando un’ossessione?
«La sensazione di un’accelerazione del tempo – dice Fabio Massimo Lo Verde, docente di Sociologia del tempo libero all’Università di Palermo – esiste almeno dall’avvento della società industriale, che ha stabilito una concezione lineare, monocronica, del tempo. La città moderna ha bisogno di sincronie e di incastri, quindi di programmazione e puntualità: serve per il lavoro, la scuola, i trasporti». Lo stress e le cronofobie, suggerisce Lo Verde, sono figlie di questo modello: «L’ansia nasce dal fatto che immaginiamo la nostra giornata come un contenitore, nel quale mettiamo le molte cose da fare e via via togliamo quelle fatte. C’è una pressione efficientista che genera insoddisfazione ogni volta che si ha la sensazione di sprecare tempo».
E occasioni di spreco, in questo senso, certo non mancano. Sembra che passiamo sei ore al giorno su Internet, quattro alla tv, altre due sui social network e qualche manciata di minuti in code e attese varie fra traffico, ambulatori, uffici. «Certe culture – dice Lo Verde – hanno una concezione policronica, non lineare. Lì non prevale la puntualità ma la relazione. Si preferisce arrivare tardi a un appuntamento piuttosto che interrompere la conversazione con un amico incontrato per strada». C’è ancora, osserva Lo Verde, una convivenza fra modelli diversi, si pensi solo al nostro Mezzogiorno, ma la soluzione anti stress, aggiunge, è «l’affermazione di una capacità riflessiva dell’intero sistema, in modo che ciascuno possa capire che il tempo è costituito dalle attività che svolge e non viceversa».
L’esplosione dei social network ha però impresso un’ulteriore accelerazione al tempo, complicando le cose. «Da sei-sette anni – dice Luca Cometto, psicologo e psicoterapeuta a Torino – in psicologia si parla di una rinnovata frenesia per l’esserci e per la visibilità. Chiunque di noi usi i social network avrà vissuto una fase di ossessività per la propria presenza. È la profezia di Warhol sui quindici minuti di celebrità che si dilata».
C’è da essere preoccupati? E ci sono rimedi? Cometto vede di buon occhio l’ipotesi di un rallentamento volontario: «Tutti abbiamo periodi nella vita di grande intensità, ma a un certo punto diventa necessario rallentare, fermarsi. Non per niente la moda forte in fatto di benessere psicologico negli ultimi anni è la meditazione, riproposta sotto varie formule: mindfulness, gite detox da strumenti elettronici e così via».
È quasi un cortocircuito: l’ossessione moderna per il tempo che riporta d’attualità una pratica antichissima, basata sulla lentezza ma anche sulla profondità di pensiero. Fra i due elementi c’è un nesso, sul quale insiste Lo Verde: «L’enorme preoccupazione per un eccesso di tempo dedicato ai social network è una delle tante forme in cui si declina l’incapacità di dare senso alla propria vita, al proprio quotidiano. Questo è il problema vero».