Staresti ad ascoltarla per ore. Anche per cogliere i tratti distintivi che l’hanno fatta conoscere come una delle chef italiane più influenti e reputate per la sua capacità di portare nei piatti tecnica e gusto ma anche per la sua cucina, etica come dovrebbe sempre essere in un mondo che spreca e chiude gli occhi di fronte all’emergenza climatica invece di tenerli aperti.
Chiara Pavan è commovente nella sua testarda volontà di evitare i soliti discorsi sulla tradizione e sull’innovazione e di dare credito all’essenziale: "Il cibo che consumiamo ha un forte impatto sul mondo in cui viviamo. Dobbiamo prenderci cura di quello che ci circonda". E lo fa abbracciando con un affetto quasi filiale la laguna veneziana, territorio fragile, esposto alla siccità, all’acqua alta, all’invadenza dell’overtourism, alle conseguenze del global warming.
E dove lei, Chiara, veronese con passate esperienze in Maremma, a Parigi e in Alto Adige, firma assieme al collega e compagno di vita Francesco Brutto il fine dining ’ambientale’ del ristorante ’Venissa’ diventato un "laboratorio di resistenza agricola e culinaria": niente carne, ampio spazio alla cucina vegetale e selezione rigorosa di quello che offre il mare per preservarne la biodiversità.
Come? Non sentendosi in dovere di proporre solo preparazioni iper-gettonate dai clienti. E cercando delle alternative. Ad esempio, utilizzando specie ’aliene’ che in anni recenti hanno colonizzato l’ecosistema dell’Alto Adriatico, come il ’granchio blu’ proposto con una zuppa d’ispirazione asiatica o cucinato al barbecue agli ospiti del Venissa. E all’adiacente Osteria Contemporanea che, per inciso, a Natale si prenderà la scena proponendo agli ospiti i ’Canederli con pane raffermo e trota afffumicata’ e gli ’spiedini di verdure’.
E, sempre tra le opzioni alternative, impossibile dimenticare le verdure che provengono dall’orto di proprietà; le piante alofite che abondano in laguna come la salicornia; e gli ortaggi coltivati dai produttori isolani che Chiara e il suo compagno hanno individuato seguendo variabili che vanno al di là della convenienza economica. Certo, la location è speciale, giusto per ricordare che Venezia non è solo quella che finisce nei cliché. Diamine, c’è tanto altro. E lo deve avere pensato anche l’imprenditore Gianluca Bisol decidendo d’investire su una tenuta vitivinicola a Mazzorbo, isolotto a due passi da Burano e di scommettere su un Wine Resort dove la ristorazione facesse da complice all’hospitality.
Davanti a tanto prologo, facile immaginare il seguito. Prima il coinvolgimento del trevigiano Francesco Brutto alla guida del ristorante ’Venissa’. Poi, a dare man forte, l’aggiunta di Chiara Pavan, 39enne culturalmente ’global’ ma istintivamente ’local’ che è un condensato di talento, di passione per la filosofia. E di consapevolezza: se senti il dovere di fare qualcosa per cambiare il mondo devi dimostrarlo con i comportamenti.
Tant’è che la stessa Michelin, dopo avere premiato il ’Venissa’ nel 2012 con l’étoile rouge per la sua cucina erudita ma non saccente, nel 2022 gli ha concesso la ’Stella Verde’ della sostenibilità, atto dovuto per un locale dove la plastica è al bando, lo spreco è considerato immorale e le preparazioni rispecchiano la visione di chi le firma. Deliziose e mai convenzionali.
Come quelle che campeggiano nei ’menù degustazione’ da 7 e 10 portate dove spiccano piatti diventati degli autoritratti di Chiara e di Francesco: le lumachine di pasta con ragù di Rapana Venosa cotte al forno con Levistico; l’Anadara Inequivalsis con kinchi di verza marinata e rapa rossa; e il già citato Blue Crab con zafferano, aglio di vigna, crema di uova e cervello. I messaggi? Più evidenti che subliminali. Come quello che staziona sul menù ed è un mantra metaforico del Venissa-pensiero: "La memoria è acqua che scorre e scompare. Ma lascia una traccia".