di Lorenzo Guadagnucci
“Ad alcuni piace la poesia Ad alcuni - cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dov’è un obbligo, e i poeti stessi, ce ne saranno due su mille“: la mostra comincia così e si entra subito, con ironia e leggerezza, nel mondo di Wisława Szymborska, la poetessa polacca premio Nobel nel 1996, nata cent’anni fa, cui Genova dedica un’insolita, affascinante esposizione (Wisława Szymborska. La gioia di scrivere, fino al 3 settembre a Villa Croce).
Era un curioso personaggio, “la poetessa dal nome impronunciabile“, come all’inizio veniva definita: una donna riservata, gelosa della propria intimità, restìa a raccontare di sé; una poetessa che alla notizia del Nobel, nella per lei ansiogena intervista improvvisata in un salottino della sua minuscola casa di Cracovia, dové correggere il giornalista che aveva sbagliato il suo nome di battesimo... Una premio Nobel che avviò così l’intervento ufficiale pronunciato a Stoccolma: "In un discorso, pare, la prima fase è sempre la più difficile. E dunque l’ho già alle mie spalle... Ma sento che anche le frasi successive saranno difficili, la terza, la sesta, la decima, fino all’ultima, perché devo parlare di poesia".
E dire che la sua fortuna di pubblico è legata non certo alla difficoltà, bensì alla semplicità – almeno apparente – dei suoi versi, alla sua capacità di toccare con grazia e trasformare in parole, pensieri, evocazioni, qualsiasi oggetto, qualsiasi evento o situazione: "Può parlare delle stelle, dell’11 settembre o anche del bugiardino di un farmaco, come ha fatto – dice Sergio Maifredi, curatore della mostra – e sempre emerge la forza della sua creazione. Ogni volta sembra che lei ti conosca, che quei versi li abbia scritti proprio per te". C’è qualcosa di misterioso in questo nesso che si crea (lei direbbe, come dell’amicizia e dell’amore, che "si concrea") fra Szymborska e i suoi molti lettori e altrettanto indecifrabile, quanto fascinoso, è il suo successo in Italia: la nazione in cui i suoi libri sono più letti, dopo la Polonia.
Wisława Szymborska esordì in Italia proprio a Genova, città dell’editore Silva che pubblicò – nel 1961 – un’antologia di Poeti polacchi contemporanei che includeva sette sue poesie. È toccato poi al più raffinato e “poetico“ degli editori, Vanni Scheiwiller, pubblicare le prime mini raccolte italiane di Szymborska, in deliziosi librini illustrati dalla lieve e colorata matita di Alina Kalczyńska, artista e moglie dell’editore: sono La fiera dei miracoli (1993), che deve il titolo alla poesia che contiene una delle suggestioni più note di Szymborska, “l’inimmaginabile è immaginabile“, e Gente sul ponte, uscito nel gennaio ’96, pochi mesi prima dell’annuncio del Nobel.
Szymborska è autrice di versi spesso citati, trascritti e “rubati“ – “Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta, come mi batte forte il tuo cuore“; “Non c’è vita che almeno per un attimo non sia immortale“; “Insegno il silenzio in tutte le lingue mediante l’osservazione del cielo stellato“ – ma non si capisce la poetessa senza conoscere i suoi ironici, divertenti collage. Ne compose circa diecimila. Sono grandi come cartoline – spesso li inviava agli amici – ottenuti ritagliando immagini e frasi da giornali e riviste: è un campionario di gustose arguzie. C’è Marilyn Monroe con gambe da rugbista, un corvo che dà la mano a... una mano, composizioni varie dei suoi amatissimi scimpanzè (era un’ammiratrice – ricambiata – di Jane Goodall): c’è insomma la Szymborska artista, che aveva esordito da ragazza illustrando un manuale di lingua inglese con disegni – già allora – ironici e curiosi, a mo’ di fumetto.
Di foto in foto, di poesia in poeria, di collage in collage, a Villa Croce emerge il ritratto di una donna che attraversa la vita con passione, ma anche con distacco, forse scaturito dalla disillusione seguita al sogno comunista coltivato subito dopo la guerra: "Appartengo a una generazione che credeva – ha spiegato una volta – Io credevo. (...) Avevamo spirito di sacrificio, sognavamo cose grandi, anche se al fondo di tutto c’era ciò che non volevamo sapere..." Nascono forse da queste esperienze ideologiche e di vita, suggeriscono i curatori della mostra, versi come questi: “Preferisco me che vuol bene alla gente a me che non ama l’umanità (...) Preferisco i moralisti che non mi promettono nulla (...) Preferisco avere delle riserve Preferisco l’inferno del caos all’inferno dell’ordine“.
"Anche il poeta, – disse Szymborska a Stoccolma, citando la connazionale Maria Skłodowska Curie, a sua volta premio Nobel, ma per la fisica e la chimica – se è vero poeta, deve ripetere a se stesso “non so“. Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta di una risposta provvisoria e del tutto insufficiente". Ma intanto, possiamo aggiungere, "ad alcuni piace la poesia".