Giovedì 21 Novembre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Storaro per Woody Allen: Cannes ha perso il buon senso

Il direttore della fotografia tre volte premio Oscar celebrato oggi a Rimini: "Il più grande? Bertolucci. Allen? Meritava la Croisette"

Woody Allen sul set con Vittorio Soraro

Woody Allen sul set con Vittorio Soraro

Rimini, 29 aprile 2023 – Oggi, al teatro Galli di Rimini, verrà premiato un protagonista del cinema internazionale dell’ultimo mezzo secolo. Un uomo che ha vinto tre Oscar, che ha vestito di luci, ombre, colori alcuni capolavori del cinema, da Ultimo tango a Parigi ad Apocalypse Now, dall’ Ultimo imperatore ai più recenti film di Woody Allen. Vittorio Storaro riceverà il premio Confindustria Romagna al festival “La settima arte, Cinema e industria“, la kermesse dedicata ai mestieri del cinema in corso a Rimini. Nel corso della rassegna saranno premiati anche l’attrice e produttrice Edwige Fenech e la leggenda del teatro Gabriele Lavia. La giuria è presieduta dal regista Pupi Avati.

Storaro, lei ha vinto tre Oscar per il suo lavoro come direttore della fotografia. Come racconterebbe il suo lavoro a chi non è un esperto?

"Il cinematographer, come lo chiamano gli americani, è chi aiuta il regista a definire la sua idea visiva. È colui, o colei, che dà forma alle immagini. Sceglie la luce, le ombre, la temperatura di colore, la “palette“ di colori di quella scena, di quel film".

Ma i colori influiscono così tanto su di noi?

"Ogni colore cambia il nostro stato d’animo, ha effetto sul nostro metabolismo, sulle nostre pulsazioni. Ogni colore ha un profondo impatto sulle nostre mozioni".

Se uno pensa a Ultimo tango a Parigi, rivede i colori: l’ocra, il beige, il marrone, il giallo carico. Il colore del cappotto di cammello di Marlon Brando…

"Parigi era la libertà. Dalla Spagna, dove c’era ancora la dittatura fascista di Francisco Franco, molti scappavano in Francia. Parigi era un’isola di libertà: e scoprimmo che questa libertà poteva avere il suo corrispettivo nei colori caldi degli interni".

Il regista più importante, per la sua vita?

"Bernardo, senza dubbio. Bernardo Bertolucci. Con lui ho fatto Strategia del ragno, Il conformista, Ultimo tango a Parigi, L’ultimo imperatore, Il piccolo Buddha e Il tè nel deserto. Non si tratta solo di aver collaborato a film importanti: si tratta di un dialogo continuo con lui, sulla luce e sulle immagini".

Ancora oggi si parla di Ultimo tango anche per le accuse che sono state mosse a Bertolucci e Brando per quella scena di violenza che avrebbe fatto soffrire Maria Schneider…

"Ma sono tutte falsità! Io c’ero, ero su quel set, ero operatore alla macchina in quella scena. E posso dire come stanno esattamente le cose".

Come stanno esattamente le cose?

"Abbiamo girato un ciak soltanto. E tutto quello che è accaduto sul set era nel copione. Non c’è stata nessuna prevaricazione, nessuna forma di violenza. Marlon Brando, per essere chiari, non si è mai aperto i pantaloni. È tutta finzione cinematografica e recitazione: niente di più, niente di meno. Dopo quella famosa scena del burro, Maria ha iniziato a giocare e a scherzare con me.

L’avrebbe fatto, se fosse stata sconvolta?".

Si è detto che Maria Schneider non si sarebbe ripresa da quelle scene, e che avrebbe iniziato a fare uso di droghe…

"Ne faceva già uso. E nessuno se ne stupiva: erano anni di ribellione, di hippies. Lei era bravissima, ma ci stupivamo che fosse in grado di recitare, con tutte le sostanze che assumeva. L’ultimo giorno delle riprese, Maria pianse a dirotto".

Lei ha lavorato anche con Totò, in uno dei suoi ultimi film. Che ricordo ne ha?

"Era praticamente cieco: doveva “sentire“ la luce, con la temperatura più che con i fasci luminosi. Con le mani tastava il set. Riusciva però a dare la sensazione di una estrema padronanza, una estrema naturalezza, poi, quando si batteva il ciak".

Che insegnamenti ha ricevuto da Bernardo Bertolucci?

"Mi fece vedere Magritte, e io non lo conoscevo, o meglio non lo avevo apprezzato abbastanza. L’impero della luce fu una rivelazione: la commistione fra luci naturali e luci artificiali, come in quel quadro che descrive l’ultima luce del giorno. Ho sempre lavorato, da allora in poi, su quel mélange".

Il suo rapporto con Woody Allen è diventato altrettanto forte. Ha girato con lui anche il nuovo film, Coup de chance.

"Di lui mi ha colpito la sua riservatezza, il suo pudore. Abbiamo sempre lavorato magnificamente insieme. E sono scandalizzato e indignato che Cannes abbia scelto di non presentare il suo ultimo film, per via delle accuse mosse da sua moglie Mia Farrow, e con lei da sua figlia Dylan. Ricordo a tutti che Woody Allen è stato assolto per due volte da queste accuse. Continua questa ossessione del #MeToo, che sta facendo molti danni, oltre ad aver portato all’attenzione di tutti problemi reali. Ma c’è una caccia alle streghe che travalica i confini del buon senso".

Torniamo ai film. Quando illuminò di buio, per così dire, Marlon Brando in Apocalypse Now, come lo convinse?

"Gli dissi: Marlon, avrai solo un filo di luce, da dietro. Tu “sentila“, questa luce. Non la vedrai. E comportati di conseguenza. E lui sprofondò nell’ombra, per poi riemergerne, possente, scolpito da un filo di luce. Era un grandissimo attore: così intelligente da capire che l’ombra può essere importante quanto la luce".

Ha visto la campagna per il turismo in Italia, con la Venere di Botticelli “ringiovanita“?

"No, non ho avuto il piacere. Preferisco, se ho tempo, rivedere il quadro originale di Botticelli. O a Roma, rivedere la Vocazione di San Matteo di Caravaggio, in cui con un solo colpo di luce, il pittore racconta l’umano e il divino".