Il mondo Yondr è l’abbacinante multiverso in cui Bob Dylan lascia scivolare suoni e visioni di questo Rough and Rowdy Ways World Wide Tour che lo riporta in Italia, dopo cinque anni d’assenza, imponendo allo spettatore la suprema delle rinunce: quella allo smartphone. Come già Bono un mese e mezzo fa tra i velluti del San Carlo di Napoli, Mr. Tambourine per costringerti ad ascoltare le crepitanti, incontrovertibili, verità delle sue canzoni ti toglie modo di fare riprese e selfie, imponendoti d’imbustare il telefono nella morbida custodia della ditta americana e chiudere il mondo fuori dal teatro.
Nella fattispecie, quello degli Arcimboldi a Milano, dove ha debuttato ieri sera e replica oggi, per poi spostarsi a Lucca, giovedì sul palco del Summer Festival, a Perugia, venerdì su quello di Umbria Jazz, e a Roma, domenica, per chiudere questa tranche europea.
Una scelta che va oltre la legittima pretesa di attenzione al coté letterario dei suoi testi da premio Nobel rock, relativizzando il diluvio d’informazioni in cui rimaniamo immersi ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. "Madre delle muse canta per il mio cuore, canta anche per il mio amore che se ne va, canta per gli eroi che sono rimasti soli, i cui nomi sono scolpiti sulla pietra e che hanno sofferto perché il mondo fosse libero" affonda le parole l’ hobo di Duluth in Mother of muses , nascosto dietro al piano, entrando e uscendo dall’ombra per dare pure profondità visiva a ciò che dice recitando quel credo di cui rimane il massimo sacerdote.
Se nell’ultima sua fatica letteraria The Philosophy of Modern Song Dylan decostruisce una serie di brani di altri “colleghi“, tra cui Modugno, in questo spettacolo lo fa con sé stesso. Che l’ultima fatica musical-letteraria Rough and rowdy ways , non suoni come il disco te l’aspetti, perché se Dylan dal vivo non straziasse Dylan non sarebbe Dylan. Ma convince lo stesso. Uscito due anni fa, l’album occupa più di metà spettacolo, catalizzando nove delle diciassette canzoni in repertorio. "Canto quello che ho visto come William Blake. Non mi devo affatto scusare. Va tutto come al solito, ma dentro ho moltitudini" dice il folksinger errante, l’uomo che nemmeno l’infezione d’istoplasmosi contratta nel 1997 è riuscita a trasformare in un pensionato di lusso, in I Contain Multitudes , visione rubata (amore e furto) a Walt Whitman. "Questo è il regno della potenza e della gloria" annuncia invece nel sottofinale di Goodbye Jimmy Reed . "Racconta la vera storia, raccontala senza fronzoli, nelle ore mistiche quando le persone sono deboli".
“Key West è sulla linea dell’orizzonte, il posto dove stare se stai cercando l’immortalità" ricorda invece Key West (Philosopher Pirate) volgendo lo sguardo alla capitale dei pensionati d’America, la sala d’attesa di Dio. Ci vuole quella familiare sequenza di accordi discendenti del refrain per riconoscere Most likely you go your way (and I’ll go mine) Blonde on blonde , scheggia di un passato che torna pure con cose come I’ll be your baby tonight , To be alone with you o la conclusiva Every grain of sand .
Al centro del palco, i più “on the spot“ sono i chitarristi Bob Britt e Doug Lancio, mentre Dylan ha la stessa rilevanza visiva di Jerry Pentecost, batteria, del veterano Tony Garnier, basso, e di Donnie Herron, pedal steel e violino in alcuni passaggi come When I paint my masterpiece. Cinque musicisti contro i quattro del leggendario Never Ending Tour , congelato a fine emergenza pandemica, dopo oltre trent’anni d’attività, proprio per lasciare spazio a questa nuova esperienza. D’altronde, come scrisse a suo tempo il critico John Landau, (lo stesso che avrebbe poi visto "il futuro del rock" in Bruce Springsteen), per l’obliquo Mr. Zimmermann non esistono né inizio né fine, ma solo nascita e rinascita.