Roma, 28 settembre 2024 – Se Roger Waters è stato la mente del mito, David Gilmour rimane il suono dei Pink Floyd. Lo ricordano carriere soliste che hanno visto l’uno talora perdersi mentre l’altro confermarsi, album dopo album, su livelli decisamente elevati. Non a caso Gilmour nei suoi spettacoli attinge dal proprio repertorio solista molto più di quanto non faccia l’ex sodale, che però ha dalla sua la paternità quasi totale di album firmati collettivamente come The wall o The final cut. Una sensazione nettissima provata pure ieri sera a Roma, nella cornice millenaria del Circo Massimo, davanti alla magniloquenza dello show con cui il chitarrista inglese (solo un po’ giù di voce) ha varato il tour mondiale a sostegno dell’album Luck and Strange, quinto capitolo di una discografia varata nel lontanissimo 1978 quando i primi scricchiolii iniziarono a impensierire la storia di una delle band seminali del rock.
Se l’avvio di 5 A.M., in un fiume luminoso che rovescia suggestioni psichedeliche sui quindicimila seduti come a teatro, porta al cuore di Rattle that lock, sono Black Cat e la stessa Luck and Strange ad immergerlo nel presente prima che il leggendario battito cardiaco di Speak to me catapulti tutti in quella Breathe (In The Air), che riporta tutti alla stagione di The dark side of the moon. Un tuffo nel passato che include il recupero di brani poco frequentati da Dave negli ultimi tour come due episodi di The division bell quali A great day for freedom e lo strumentale Marooned.
Tutto, naturalmente, senza quei sospetti di playback di cui la moglie-paroliera Polly Samson ha accusato sui social lo scorso anno Waters, rovesciandogli addosso una gragnuola d’insulti fra cui "antisemita" era il più affettuoso.
Tellurica la spinta di un quintetto impreziosito dalle presenze alle tastiere di Greg Philliganes e al basso di una vecchia conoscenza quale Guy Pratt. Ai cori Louise Marshall e le Webb Sisters. E sul palco sale anche la figlia Romany. Rispetto all’ultimo tour Gilmour ha sostituito diversi elementi della formazione che l’accompagna, chiedendo ai nuovi arrivati un surplus di creatività perché i loro predecessori "sarebbero stati meglio in una tribute band dei Pink Floyd".
“Fortunato” e “strano” pure il tour portato al debutto ieri sera dopo le doppia prova generale coi fan a Brighton, grazie a una formula che rende Roma caput mundi dell’universo di Wish You Were Here, The Great Gig in the Sky e Comfortably numb grazie a sei esclusive continentali in calendario fino al 6 ottobre, prima che la carovana si sposti armi e bagagli alla Royal Albert Hall di Londra per altri sei spettacoli e poi varchi l’oceano approdando a Los Angeles con una tappa indoor all’Intuit Dome e tre “open air” all’Hollywood Bowl. Finale a Manhattan con cinque concerti al Madison Square Garden a novembre.