E tre. Pochi giorni prima della sua rentrée al Forum, dove canta domani tra gradinate sold-out ormai da mesi, Alfa ha già annunciato un’ulteriore replica ad Assago il 29 ottobre 2025. Il tour è sempre quello legato all’album “Non so chi ha creato il mondo ma so che era innamorato”, ma lo spettacolo continua a mutare, come spiega lo stesso eroe di “Vai!” sulla poltrona di Soundcheck, il format musicale disponibile pure sui social e sul sito web del nostro giornale. “Come si dice, non c’è due senza tre” scherza Alfa, all’anagrafe Andrea De Filippi, classe 2000, tre album all’attivo e una liason con la pallavolista azzurra Alessia Orro. “Dopo Sanremo il mio percorso ha preso una direzione di cui sono molto orgoglioso, felice di avere un pubblico che continua a seguirmi”.
Per chi fa musica i ritmi oggi sono molto elevati
“Il problema è che non si sa molto del nostro mestiere. Pure io, da semplice spettatore, non immaginavo che il Festival potesse essere tanto impegnativo. Oggi come oggi la vita del cantante è in modalità agonistica, perché l’impegno fisico e mentale è molto simile a quello degli atleti”.
E lei come se la vive?
“Bene. Il mio sogno sarebbe di fare come Ed Sheeran che se ne andava in giro con un pullman-studio di registrazione per poter scrivere canzoni tra un concerto e l’altro. Purtroppo, non ho ancora quel budget, ma spero tanto di poterlo fare un giorno, perché l’adrenalina dell’esperienza live è molto stimolante per la creatività”.
Come si sopravvive al Festival?
“Il mio modo di reagire all’ansia che ti mette addosso Sanremo è stato non vederlo. Pensare solo alla mia esibizione senza guardare il resto. Avevo scaricato da Netflix un documentario su Alessandro Magno e nei (pochi) momenti liberi mi guardavo quello; soprattutto la notte che m’hanno fatto cantare alle due del mattino, tirarla lunga senza deconcentrarmi è stata dura. Il duro del Festival, però, viene dopo il Festival”.
Perché? “Perché quella settimana ti cambia la vita e poi tornare ai ritmi di tutti i giorni non è facilissimo. Ti senti come il protagonista di una serie televisiva di successo e vorrebbe poter riuscire a fare anche altro. Per fortuna, in famiglia come nel lavoro, sono circondato da persone che mi vogliono bene e sanno restituirmi la quotidianità di cui ho bisogno”.
Nessuna tentazione di rifarlo?
“Quest’anno no. Non mi sento ancora all’altezza di quello che ho e, prima di ripetere un’esperienza importante come il Festival, vorrei crescere ancora come artista ma soprattutto come persona”.
Tra questo secondo Forum 2024 e quello dell’anno prossimo passeranno 369 giorni. Da spendere come?
“Ci saranno altre date in Italia, ma pure un tour europeo. Il concerto londinese d’inizio novembre al Dingwalls (un famoso live club di Camden - ndr) è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Senza nulla togliere alle arene, che sono esaltanti, sentire la gente ‘addosso’ in un luogo raccolto mi emoziona un sacco”.
Che altro ha in agenda?
“Vorrei volare in Svezia, terra di autori e produttori incredibili che spero possa stimolare la creatività. Poi sto pensando ad un viaggio coi miei genitori in Giappone. Non andiamo in vacanza assieme da quando avevo 13 anni e mi sembra arrivato il momento di rifarlo”.
Frattanto è in radio con “Il filo rosso”.
“Brano che nasce, guarda caso, da una leggenda asiatica. E quindi tutto torna. Dati alla mano è, non senza sorpresa, il singolo che è andato meglio in classifica della mia carriera. Racconta che le persone destinate ad amarsi hanno un filo rosso che le tiene legate per il mignolo, così ho pensato di proiettarla sulle persone che hanno rapporti a distanza e necessitano di un filo un po’ più resistente degli altri. M’è venuta in mente vedendo una coppia che si salutava su e giù dal treno a Milano Centrale, scena davanti a cui mi sono detto. voglio scrivere la mia canzone degli addii e degli arrivederci”.
Tanto nella vita pubblica che in quella privata, continua ad avere un autorevolissimo fan: Roberto Vecchioni.
“Il Professore mi ha cambiato la vita. Un esempio di umiltà straordinario. La prima volta che mi ha visto m’ha abbracciato, poi ho tirato fuori dallo zaino un foglio su cui avevo appuntato la mia parte da cantare in ‘Sogna ragazzo sogna’ a Sanremo e me l’ha corretta come fosse un compito in classe. Il testo diceva ‘salgo sopra questo palco per giocarmi la mia vita’ e lui me l’ha modificato in ‘salgo sopra questo palco per giocare con la vita’ precisando ‘…perché tu spacchi a prescindere dal Festival e non ti stai giocando niente’. Puntualizzazione che su uno ambizioso e competitivo come me ha avuto un bell’effetto rilassante”.
Una volta la canzone per un ragazzo era il fine. Oggi, invece, spesso è il mezzo.
“A volte ho anch’io la sensazione che la musica sia un pretesto. Non c’è niente di sbagliato. Ma il pubblico è molto più intelligente di quel si pensa. Ti può andar bene anche per uno, due, tre, dieci anni, ma poi chi fa questo mestiere per urgenza e chi per convenienza si capisce”.
L’artista italiano che stima di più?
“Cesare Cremonini. Perché la capacità di iniziare dall’alto e poi ricominciare tutto partendo da zero per tornare ancora più grande di prima. Fra gli artisti italiani è quello con la visione della propria musica più chiara. Ed è questo a rendermelo un idolo”.
Lei ha ventiquattro anni. A trenta come si vede?
“Papà”.