"Anche se sono più di quindici anni che faccio dischi, non ne ho il controllo" assicura Vasco Brondi presentando il nuovo album Un segno di vita, in uscita oggi, sotto la lente di “Sound check” il format musicale del Quotidiano Nazionale disponibile sulla pagina web e sui social del giornale. "L’approccio iniziale è sempre quello di lanciarmi allo sbaraglio, di seguire una scia, e solo alla fine riuscire a cogliere quanto accaduto.
Così, solo riascoltando queste canzoni mi sono reso conto che erano piene di fuochi: di incendi nei boschi, di lampi interiori capaci di rischiarare la notte. In fondo le canzoni per me sono sempre state un po’ dei talismani, fiamme attorno a cui scaldarsi". Oggi per Brondi parte da Milano col tour promozionale in libreria, nell’attesa del tour nei club atteso al debutto il 5 aprile a Livorno, con tappe pure a Bologna il 12, Milano il 16 e il 17, Senigallia il 24, Perugia il 26, Bologna il 4 maggio e ancora Milano l’8 e il 9.
Vasco, che cosa cambia Un segno di vita rispetto al passato?
"Come urgenza assomiglia più ai miei primi dischi che all’ultimo, molto più riflessivo e composto quasi solo da ballate. Lo trovo più dinamico, più immediato, scritto già con l’idea di suonarlo. Il predecessore Paesaggio dopo la battaglia aveva un che di descrittivo, questo ha un che di reattivo".
Perché?
"Calvino ne Le città invisibili dice che l’importante è cercare e saper riconoscere quello che nell’inferno non è inferno e farlo durare e dargli spazio. I miei maestri spirituali Cccp dicevano che la situazione è eccellente – anche quando non lo era – perché questi sono i nostri tempi e i nostri posti, non a Berlino, ma a Carpi. Ecco, per me il loro è stato un grande insegnamento: guardare in faccia la realtà senza lasciarsi accecare da quel che non va, ma cercando e dando spazio ai segni di vita".
Perché a un certo punto ha deciso di sciogliere una band composta solo da lei, Le Luci Della Centrale Elettrica?
"Nel 2018, riflettendoci, mi sono reso conto che la raccolta del decennale avrebbe dovuto fare da spartiacque tra ciò che era stato e ciò che sarebbe stato. Ho capito che da quel momento i dischi avrebbero dovuto rivelarmi di più, liberandomi anche da questo nome corale che finiva col rendermi anonimo".
Perché ha voluto accompagnare il prezioso manufatto con un Manuale di pop impopolare pubblicato nelle edizioni limitate del vinile e del cd?
"Avevo da parte così tanto materiale da poter pubblicare tre dischi. Poi ho deciso per il disco singolo e il ‘manuale’ è focalizzato proprio su quel che è esondato dal disco. Dentro non ci sono solo parole e musica, ma anche l’aria, le brezze, gli odori, i sapori che hanno accompagnato la realizzazione di questo album registrato in alta montagna, nel rifugio dello scrittore Paolo Cognetti (Premio Strega per Le otto montagne - ndr) , ma anche in un seminterrato a Milano, in Marocco, su un’isola delle Canarie o nell’inverno padano di Ferrara".
In Fuoco dentro c’è Nada.
"Sono sempre stato un suo grande fan. L’ho scoperta grazie a Cesare Basile che le ha prodotto un disco bellissimo. Tutto l’amore che mi manca, ma grazie anche a Massimo Zamboni che l’ha al fianco in Sorella sconfitta. Quando è uscito Paesaggio dopo la battaglia Nada mi ha telefonato dicendo di essere rimasta toccata dai contenuti e dfalla libertà di scrittura di quel disco. Così, dopo mesi di tormento, le ho inviato il demo di Fuoco dentro e lei mi ha risposto dicendo di rivedersi nel tipo di donna che raccontavo. Così sono andato da lei in Maremma con Federico Dragogna dei Ministri come produttore e abbiamo registrato".
Illumina tutto avrebbe voluto presentarla a Sanremo. Cos’è successo?
"Semplicemente, non è stata scelta. Sono quelle situazioni in cui, se da un lato fai un gran sospiro di sollievo, dall’altro ti rendi conto che le canzoni si difendono da sole e possono andare ovunque, anche all’Ariston. Quella del Festival è un’esperienza che continuo a non escludere".
Se andasse, chi vorrebbe accanto a se la sera delle collaborazioni?
"Uno che non accetterebbe mai: Francesco De Gregori".
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