Mercoledì 20 Novembre 2024

Miles Davis secondo Paolo Fresu: “Il jazz diventato opera d’arte”

Da stasera a domenica all’Arena del Sole di Bologna lo spettacolo del trombettista che ha ispirato anche il nuovo disco. L’intervista integrale a Soundcheck la prossima settimana.

“I miti sono fatti perché l’immaginazione li animi” diceva Albert Camus. E Paolo Fresu al suo, di mito, ha dato il soffio di Kind of Miles, l’album e lo spettacolo dedicato a Davis in replica all’Arena del Sole di Bologna dal 21 al 24 novembre. “Miles è nato in un Novecento che camminava di fretta e che lui, con la sua musica, ha contribuito a velocizzare muovendo l’arte verso una dimensione diversa” dice. “Per questo mi chiedo se, senza di lui, saremmo gli stessi musicisti di oggi. Se ci sentiremmo addosso la stessa responsabilità verso il futuro”. Responsabilità? “Sì, perché, da trombettista, mi domando cosa posso fare di più rispetto a quel che ha fatto lui. Cosa posso aggiungere al costrutto del suo pensiero umano e artistico? Il mito, in fondo, è questo; qualcosa che possiamo riprendere e provare a portare in un luogo nuovo. Altrimenti il mondo si fermerebbe. Il suo insegnamento è prezioso soprattutto oggi che i miti si accendono e si spengono con la velocità di una stella cadente”. Lo spettacolo completa una trilogia avviata da ’Tempo di Chet’ e proseguita da ’Tango Macondo’. "Da anni il direttore del Teatro Stabile di Bolzano, Walter Zambaldi, mi chiedeva un progetto teatrale, ma ero impaurito perché sono uno che dopo qualche giorno di lavoro sullo stesso progetto già scalpita. Alla fine, comunque accettai”. E pensò a Chet Baker. “Sì, per parlare a teatro dell’uomo, oltre che dell’artista, protagonista di una storia che valeva la pena raccontare per questa ‘dislessia’ tra una vita così caotica e una musica così perfettamente costruita. Lo spettacolo, diretto da Leo Muscato, rivelata un’esperienza straordinaria, che abbiamo portato avanti per due anni, 120 repliche. Così Zambaldi è tornato a farsi sotto e io gli ho proposto un progetto tra la Sardegna e il Sudamerica che parte dal libro Il venditore di metafore di Salvatore Niffoi e arriva a Macondo». Terzo capitolo: Davis. “Miles e Chet sono stati i primi due trombettisti che ho ascoltato. Ho scoperto il jazz, infatti, grazie a Davis e a una versione di Autumn leaves registrata dal vivo a Juan-Les -Pins nel ’63. Al tempo suonavo nei locali da ballo Le foglie morte ma, ascoltando quel brano sul mio registratore, non riconobbi neppure il tema del pezzo che eseguivo tutte le sere. Così mi dissi: se il jazz può fare questo, prendere una melodia semplicissima e trasformarla in un’opera d’arte, voglio suonarlo anch’io. Uno spettacolo su Davis m’è sembrato la giusta chiusura della trilogia sui musicisti da cui ho appreso l’essenza e la filosofia di questa musica. Oltre alle musiche, ho scritto pure i testi di Kind of Miles e così Zambaldi, pericolosissimo uomo, mi ha proposto: perché non li reciti tu? Ho pensato che i miei 63 anni fossero l’età giusta per accettare una sfida”. Il disco è ispirato dagli stessi concetti dello spettacolo “Intanto, ho scelto di costruire un progetto musicale che non fosse quello di una cover band né filologico. Quindi sono partito dall’idea di raccontare nella prima parte il Miles in bianco e nero, quello fino agli anni 70, e nella seconda il Miles a colori. Non è casuale che i dischi si chiamino uno Shadow e l’altro Light; ovviamente è un gioco, per il quale ho preso in prestito una bellissima idea di Joni Mitchell, mettendo assieme due formazioni, una acustica composta da Dino Rubino al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso, Stefano Bagnoli alla batteria e una elettrica con Christian Meyer alla batteria, Federico Malaman al basso, Filippo Vignato al trombone e alle tastiere. In mezzo Bebo Ferra con la sua chitarra e, ovviamente, io”.

La prossima settimana sarà pubblicata la video intervista integrale rilasciata da Paolo Fresu ad Andrea Spinelli in Soundcheck