“Quando m’è presa la follia di brevettarmi subacquea ho iniziato a pensare che il mare è profondo quanto alto è il cielo che gli sta sopra. Ho capito che noi uomini non siamo al centro di niente, ma solo microscopici puntini in uno spazio immenso” racconta Malika Ayane nello studio di Sound Check, il format musicale disponibile pure sulla pagina web e sui social del nostro giornale, parlando di “Sottosopra”, suo primo singolo da due anni a questa parte.
Il brevetto poi l’ha preso?
"Sì, ma scendo solo di qualche metro perché ho un timpano difettoso e, col mestiere che faccio, non mi sembra il caso rischiare".
Qual è il blu che le fa più paura?
"La fine è sempre stata una mia ossessione, tant’è che nelle canzoni sto sempre lì a ripetere che il presente è la cosa più importante. Ogni tanto mi assale il timore di svegliarmi e non poter più fare questo che considero il lavoro più bello del mondo. Di non riuscire più ad esprimermi o di non trovare più gente che abbia voglia di ascoltarmi, di seguirmi nelle piccole grandi avventure in cui mi butto".
Rimpianti?
"Forse quello d’essermi fatta prendere, a volte, dall’ansia di non piacere abbastanza. Di non essere capita. Ma da quando ho iniziato a concentrarmi solo su quel che faccio, eliminando tanti retropensieri, tutto è diventato più facile".
Nel cassetto di “Sottosopra” ci sono altre canzoni?
"Assolutamente sì. Tante da riempire due album. Quando, due anni fa, Andrea Bonomo è arrivato con l’idea di “Sottosopra“ e quell’incipit “dormi con me…“, io e Gino Pacifico ci siamo detti subito: forte, lavoriamoci. Col nuovo album avevamo in programma di uscire in autunno, poi ho pensato che 15 anni di discografia meritassero un tour tutto loro. Così la pubblicazione del successore di “Malifesto“ è rimandata a primavera 2025, anche per consentirmi di registrarlo nelle pause tra un impegno di tournée e l’altro portando in sala d’incisione l’energia del live".
Il 10 novembre parte da Trento il nuovo tour teatrale. Che spettacolo ha in mente?
"Avendo al momento pochissimi santini da venerare – anzi, ad essere sincera solo quelli di Paolo Conte, Nick Cave e Serge Gainsbourg – ho in mente un live focalizzato sull’estetica musicale, nella convinzione che sia meglio avere due musicisti in più che un maxischermo. Anche perché in tutti questi anni di palcoscenico sono riuscita ad evitare di aiutarmi con le sequenze e vorrei tanto proseguire su questa strada".
A Sanremo, la sera riservata alle collaborazioni, ha cantato “La canzone del sole” con i Negramaro. Com’è andata?
"Anche se diamo Battisti per scontato, penso che ogni occasione di farlo ascoltare al pubblico una volta in più vada presa al volo. Quel pezzo non l’avevo mai cantato prima in tv ed ero terrorizzata perché è così tanto storicizzato che, comunque lo esegui, sbagli. Più facile cantare “My way“ al karaoke… Anche se non ci ho mai provato".
Quanto c’è in lei di Melina, di Nina, di Iolanda e delle altre protagoniste di “Ansia da felicità”, il suo primo romanzo arrivato in libreria giusto un anno fa?
"Lavorando la sera fino a tardi, ogni tanto la mattina mi sveglio con delle asce conficcate nella testa come la Nina del libro alla ricerca di un bicchiere di acqua gasata per riprendersi da un hangover. Sto vivendo un periodo meraviglioso in cui, al supermercato con la lista della spesa in mano o su un tappeto rosso a fare la diva supersonica, assimilo quel che mi accade attorno come una spugna, rubando attimi di vita nell’attesa di trasformarli in esperienza artistica".
Quattro mesi dopo, cosa le è rimasto della gatta interpretata a teatro sotto la luna di “Cats”?
"Gli stivali. Credo che meriterei un Tony Awards per essere riuscita a portare in scena senza incidenti la prima Grizabella coi tacchi a spillo della storia. Quella del musical è un’esperienza stupenda anche per la disciplina che ti impone salire sul palco tutti i giorni".
Ha fatto il conto di quante volte è morta in scena?
"Tra “Cats“ ed “Evita“ dovrei aver superato quota 200".
Cosa le è rimasto della 18enne fuggita a Berlino per andare allo Yaam a ballare il reggae?
"Penso che quell’impulso oggi sia più forte che mai. Aver scavallato 15 anni di discografia, aver visto quel mondo cambiare tre o quattro volte, aver fatto tutto quel che volevo (e forse anche un po’ di più) mi rimette nella condizione di quella Malika lì, con tutta l’esperienza, però, accumulata lungo il cammino. Una Malika che ora a Berlino ci vive e d’estate non rinuncia ad andare a ballare allo Yaam".
Cosa c’è in quel (e forse anche un po’ di più) tra parentesi?
"Volevo fare la musica e l’ho fatta, volevo fare il musical e l’ho fatto, volevo fare la radio e l’ho fatta, volevo fare la tv e l’ho fatta, volevo scrivere un libro e l’ho fatto. Volevo un lavoro che mi facesse viaggiare e l’ho trovato. Anzi, ad ottobre mi hanno invitata a cantare in Cina e ho già la valigia pronta. Volevo conoscere gente interessante e questo lavoro mi ha dato l’opportunità di fare tanti incontri. Mi sono sempre messa sotto pressione, ma ne è valsa la pena. E se ripenso alla ventiduenne che lavorava in “Quiet Please!“, la casa di produzione di Ferdinando Arnò, convinta che l’opportunità d’incidere un disco e di fare una tournée l’avrebbero appagata per tutta la vita, penso di aver fatto po’ di più. Un (bel) po’ di più".