Milano, 10 giugno 2024 – Diodato per parlare della sua Taranto parte dalle lacrime di Etra, dalla predizione dell’Oracolo di Delfi, e da quel mondo mitologico in cui ama inseguire i suoi sogni d’artista. Luoghi, volti, parole che crepitano in bocca come la fiamma dell’ultimo album Ho acceso un fuoco, inciso sull’onda lunga del ritorno a Sanremo con Ti muovi e portato in concerto fino in Brasile, come spiega lui stesso a “Soundcheck”, il format musicale del nostro giornale, nell’attesa di regalarsi qualche piccolo evento estivo e poi approdare in autunno nei teatri con debutto il 28 settembre al Moderno di Grosseto.
Antonio, parliamo del titolo un po’ piromane di questo live.
"La musica ha saputo accendermi nel profondo qualcosa, sciogliendo pareti di ghiaccio che avevo dentro per mettermi in connessione col mio nucleo emotivo. Ho incontrato tante persone straordinarie, a cominciare dai musicisti con cui collaborato, affrontando assieme a loro un viaggio bellissimo per arrivare fino al pubblico; da qui l’idea di raccontarci tutti attorno ad un fuoco. Questo perché l’album si propone proprio di cogliere quel calore lì, rileggendo brani del passato che si sono trasformati nel corso degli anni grazie proprio alla condivisione dei concerti".
Com’è nato?
"Alla fine dell’ultimo tour ho scelto i brani che avevano interiorizzato meglio quel tipo di vibrazioni e li ho ri-registrati in studio, con la band, alle Officine Meccaniche di Milano".
Da laureato al Dams, se questo album fosse un film chi lo dirigerebbe?
"Il primo che mi viene in mente Martin Scorsese, col pensiero alle numerose opere in bilico tra cinema e musica che ha diretto in passato. Non mi dispiacerebbe neppure un regista italiano come Mario Martone".
Ha vinto due David di Donatello più il Premio Amnesty International. I riconoscimenti che effetto le fanno?
"Il David a La mia terra (dalla colonna sonora del film di Michele Riondino Palazzina Laf - ndr) mi ha riempito di felicità. Non che quello a Che vita meravigliosa per La dea fortuna di Özpetek non l’avesse fatto, ma qui il coinvolgimento personale nelle vicende e nel futuro di una terra in sofferenza come quella tarantina era fortissimo".
Alla fine Palazzina Laf ha incassato tre statuette.
"Per fortuna al momento dei premi a Michele e a Elio Germano non mi hanno inquadrato perché ero emozionatissimo in quanto non stavamo vincendo solo noi e il film, ma la visione che c’è dietro. E stava vincendo pure la città, a cui sono legatissimo. Seppur di prestigio, un riconoscimento non cambia le sorti di una terra, ma può aiutare a ricomporre fragilità umane e politiche, aiutandoci magari a credere un po’ di più in noi stessi e a non perdere la speranza nella possibilità di un’alternativa futura. Insomma, le stesse motivazioni che mi spingono ormai da anni a continuare l’esperienza di condirettore artistico del Primo Maggio di Taranto".
A proposito di fragilità umane e politiche del momento, qual è la più insidiosa?
"Probabilmente il vento di normalizzazione che c’è in giro. Il capovolgimento del racconto storico. L’accettazione passiva di fatti e situazioni riconducibili a una visione fascista del mondo. La politica fa la politica e i suoi interessi… è la risposta debole del popolo a farmi paura".