Giovedì 30 Gennaio 2025
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Sonia Bergamasco: "Duse, la mia ossessione. Poetessa e ribelle: non recitava, viveva"

L’attrice milanese porta al cinema un doc e sul palco una lettura scenica sulla Divina. "Il suo teatro non era desiderio di successo né di fama, ma di elevazione spirituale".

L’attrice milanese porta al cinema un doc e sul palco una lettura scenica sulla Divina "Il suo teatro non era desiderio di successo né di fama, ma di elevazione spirituale".

L’attrice milanese porta al cinema un doc e sul palco una lettura scenica sulla Divina "Il suo teatro non era desiderio di successo né di fama, ma di elevazione spirituale".

All’inseguimento di un mistero, di un fantasma. Cercare le tracce di Eleonora Duse, la Divina, la più grande attrice della storia del teatro italiano, forse mondiale, è un’impresa da Sherlock Holmes. Non ci sono filmati delle sue performance teatrali, quando la Duse fece impazzire i teatri di tutto il mondo a cavallo fra i due secoli, fra la fine Ottocento e l’inizio del Novecento.

Non ci sono neanche dischi che raccolgano la sua voce – la definivano esile, arrochita, fragile, anche per via di quel polmone che le mancava. Non ci sono registrazioni: ci provò Thomas Alva Edison, l’inventore del fonografo. Ma le "lacche" di quelle incisioni sonore si sciolsero, durante uno dei tanti incendi che funestarono la storia dei primordi delle registrazioni cinematografiche e sonore. La Duse (1858-1924) rimane, per molti versi, un fantasma. Ci sono solo quelle poche, rarefatte, remote immagini cinematografiche, mute, di un film del 1916, Cenere, di Fabio Mari, da un romanzo di Grazia Deledda, che della Duse era amica.

A questo mistero, Sonia Bergamasco, milanese, attrice fra le più interessanti del panorama italiano, e anche pianista – l’abbiamo ascoltata suonare senza trucchi di montaggio anche nei film di Marco Tullio Giordana – ha dedicato un film. Il documentario si chiama Duse, the Greatest. E raccoglie testimonianze di studiosi, di attori e attrici, e anche filmati di rare interviste con chi la Duse l’ha conosciuta. Luchino Visconti, per esempio. Il regista del Gattopardo fece in tempo a vederla esibirsi a teatro. Lui era un bambino, ma fu già profondamente colpito dalla naturalezza di quella attrice, che conquistò con il suo talento anche Stanlislavskij, Lee Strasberg – il fondatore della più importante scuola di recitazione al mondo, l’Actor’s Studio – Charlie Chaplin, Greta Garbo, Anna Magnani, Marilyn Monroe (che aveva una foto della Duse in camera), senza dimenticare D’Annunzio, che la amò oltre a scrivere drammi per lei.

Sonia Bergamasco: perché Duse è stata la più grande, e la più amata?

"Probabilmente perché era la più vera. Molti di coloro che sono stati testimoni delle sue performance teatrali concordano su un punto: sembrava che non recitasse. Era agli antipodi dell’altra grandissima del teatro a cavallo dei due secoli, Sarah Bernardt: Sarah, se doveva morire in scena, faceva due piroette. Eleonora non faceva quasi niente".

Anche nei suoi rapporti con il cinema, Eleonora Duse fu molto elusiva. Partecipò soltanto a una pellicola.

"Sì, e non perché non le fosse stato offerto. Anche David Wark Griffith, il più grande regista americano dell’epoca, le chiese di recitare in Intolerance, ma lei rifiutò. Giustamente, aggiungerei. Sarebbe stata soltanto una pedina all’interno di un cinema molto strutturato, quello di Griffith. Il suo corpo sarebbe stato frantumato al montaggio, tagliuzzato in una serie di primi piani “utili“ al racconto".

E nel caso di Cenere, invece, come andò?

"Fu molto delusa da quel film, che pure aveva fortemente voluto. Era molto amica di Grazia Deledda, l’autrice del romanzo da cui è tratto il film. Ma ugualmente dovette scontrarsi con un linguaggio che sembrava simile a quello del teatro, ma non lo era".

Riuscì ad adattarvisi?

"Riuscì a capire immediatamente che era un linguaggio diverso. E recitò in modo assolutamente nuovo, rivoluzionario per l’epoca. In ogni inquadratura è struccata, un mantello nero e i capelli bianchi: è come indifferente alla posizione della macchina da presa, le volta le spalle, si nasconde. È vera. La differenza è tangibile, enorme, quando è nella stessa inquadratura con Febo Mari, il coprotagonista, che è – pur essendo molto più giovane – un milione di anni luce dietro a lei, in quanto a modernità".

Da quanto tempo si dedica a studiare la Duse?

"Oh! Sono anni e anni. È quasi una ossessione! Insieme a Marianna Zannoni, la maggiore studiosa della Duse, abbiamo lavorato a una lettura teatrale, La Duse e noi, attingendo all’enorme archivio di lettere e documenti custoditi alla fondazione Giorgio Cini di Venezia. Ne è nato uno spettacolo che abbiamo portato all’auditorium Lo Squero, nell’isola di San Giorgio".

Sente, dopo tanto tempo passato "insieme" alla Duse, di averne tratto qualche insegnamento?

"Mi ha fatto riflettere molto sul mio mestiere, quello dell’attrice. Il suo teatro non era desiderio di successo, né di fama, ma di elevazione spirituale. Lei cercava un teatro di poesia, una lingua nuova. Per questo ha avuto il coraggio di rifiutare un testo che Pirandello aveva scritto per lei, per questo non si è appiattita sulla personalità forte di D’Annunzio, che è rimasto solo un episodio nella sua vita: la Duse esiste prima di lui e dopo di lui. Per questo, dopo tanta ricerca, si è rivolta a Ibsen, ed è lui – con i suoi tormenti, i suoi dubbi, i suoi personaggi femminili – che è diventato il suo vero autore".

Sonia Bergamasco porterà la lettura scenica La Duse e noi al teatro Gerolamo di Milano il 7, 8 e 9 febbraio.

Presenterà il film Duse, the Greatest il 3 febbraio a Roma al cinema Troisi, il 4 a Genova al Sivori, il 5 al Modernissimo di Bologna, per proseguire al Lumière di Bologna il 6, e a Milano, Brescia, Torino. Sarà l’11 a La Compagnia a Firenze. Poi parteciperà al Milazzo film festival, in programma nella cittadina di fronte alle Eolie dal 6 al 9 marzo.