Ogni anno avviene il solstizio d’inverno che cade sempre tra il 21 e il 22 dicembre. L’orario e la data mutano, ogni anno, di circa 6 ore rispetto a quello precedente. Per esattezza, il tempo esatto è di 5h 48′ 46″. 0gni quattro anni, invece, si riallinea, in corrispondenza dei bisestili, per evitare la progressiva divergenza delle stagioni con il calendario. Proprio per questo motivo, la variabilità finale è minima e cambia solamente tra le giornate del 21 e 22 dicembre.
E proprio nel giorno del solstizio invernale, in diverse parti del mondo, ancora resistono diverse tradizioni e miti legati all’avvenimento che viene interpretato non solo come la giornata più buia dell’anno ma anche con sfumature magiche, proprio perché – insieme alle tenebre – rappresenta anche l’inizio dell’arrivo della luce con le giornate che, lentamente, iniziano ad allungarsi fino alla primavera.
In Iran c’è una tradizione antichissima che celebrava Mitra, divinità zoroastriana della luce, indicata come Shab-e Chelleh, “la notte dei 40”. Il numero rappresentava i giorni dell’inverno iniziato e, in quella notte, era forte la raccomandazione di non stare mai soli. Di notte era consigliato restare svegli, in gruppi di amici o in famiglia, proprio perché nel buio le forze del male erano più potenti che mai. E l’unico modo per allontanare e sconfiggere il maligno era rimanere con gli occhi aperti, in gruppo di più persone. Adesso i riti sono cambiati: si resta svegli fino a tardi, in compagnia, recitando poesie e mangiando gli ultimi frutti ancora rimasti dell’estate, insieme ad altri cibi (noci, zuppe, riso).
In Scandinavia il solstizio d’inverno viene festeggiato giorni prima, il 13 dicembre (giornata di Santa Lucia). Prima del Cristianesimo, si accendevano grandi falò proprio per sconfiggere e annullare il buio di quella notte. Oggi, invece, si tiene il “Festival delle luci”. Vengono accese migliaia di candele e, nelle case, la figlia più grande della famiglia, dopo aver indossato un vestito bianco e una corona di candele, sveglia i componenti e serve loro caffè e dolcetti sfornati.
Negli stati di Punjab e Haryana, veniva celebrato il solstizio d’inverno proprio nel giorno esatto ma, negli ultimi tempi, è stato posticipato al 13 gennaio, prima di Makar Sankranti, un festival hindu dedicato al dio del sole Surya. In questo caso, viene reso omaggio alla luce, al fuoco, al sole, simboli della fine del buio. Nei giorni precedenti, si raduna la legna da ardere in vista dei giganteschi falò che verranno accesi durante la notte di Lohri, quella – appunto – del 13 gennaio. Anche se la data è stata rinviata di qualche settimana, alla base resta sempre il rito della luce che annulla il buio.
In Giappone, invece, durante il solstizio d’inverno esistono riti molto più personali e intimi. Le persone che vogliono festeggiare questo evento e questa data fanno un bagno rilassante in una vasca piena di frutta yozu. Secondo la tradizione del luogo, il bagno agli agrumi dovrebbe avere un effetto riscaldante che allontana le malattie in arrivo nei mesi invernali. Un rito che dura da centinaia di anni e viene trasmesso di generazione in generazione. Altre tradizioni – sempre in Giappone- legate al solstizio d’inverno prevedono il mangiare zucca invernale, toji-gayu (porridge di riso con fagioli Adzuki) e anche cibi il cui nome contiene il suono “n”, che si pensa porti fortuna. Tra le opzioni più gettonate e di moda spiccano sicuramente il ninjin (carota), udon (noodles) e ginnan (noci di ginkgo).
Nel Regno Unito, più precisamente a Brighton, invece, il 21 dicembre si tiene l’evento denominato “Burning the Clocks”, una parata di lanterne organizzata dall’ente di beneficienza artistico di Brighton, Same Sky. Da ormai circa vent’anni, chi sceglie di partecipare e presenziare, costruisce lanterne di carta e legno di salice e passeggia per le strade della città di Brighton per poi concludere la celebrazione, gettando le proprie creazioni in un falò sulla spiaggia del posto.
Inoltre, anticamente, in base alla tradizione celtica, proprio in questa data si celebrava Yule, la festa pagana della luce e della rinascita. Nel neopaganesimo e nella cultura wicca, Yule esiste ancora ed è uno degli otto sabba che si festeggia durante l'anno (fa parte dei sabba minori). Al centro della tradizione si celebrava la luce come risposta al buio di quella notte: le donne aspettavano nell'oscurità, con una candela illuminata consegnata dagli uomini, con cui veniva acceso poi il focolare. In una cerimonia, la famiglia si riuniva intorno al camino e accendeva un ceppo di quercia o di frassino per allontanare per sempre, da loro e dalla casa, gli spiriti malvagi, celati nel buio. Il ceppo veniva accesso col tizzone dell'anno precedente, conservato nei mesi a seguire. Doveva bruciare tutta la notte ed essere spento mediante un rituale specifico. Lo si seppelliva nella cenere per i restanti 12 giorni di Yule. E si conservava come fatto con il precedente, per il rito dell’anno seguente. A Stonehenge si festeggia ancora ogni anno Yule, accendendo falò e pronunciando formule magiche propiziatorie.
Sempre in passato, gli antichi romani celebravano, in quelle ore, la rinascita del Sole Bambino, con la festività del "Sol Invictus", detta in latino "Dies Natalis Solis Invicti" (il Giorno di Nascita del Sole Invincibile). Anche in questo caso, come in tutti i riti citati, è sempre il sole (o la luce) al centro del pensiero.
Tra le piante sacre del solstizio d’inverno, ricordiamo l’agrifoglio e il vischio, già sacro ai tempi dei Druidi e ancora oggi considerato un portafortuna, simbolo di rigenerazione e immortalità.
Come già citato nel parlare di Yule, la quercia, invece, è la pianta del solstizio d’inverno che presso i Celti e i Greci era considerata l’albero Cosmico, l’asse del mondo in grado di unire il cielo alla terra. Nel centro Italia si usava (oggi molto meno) accendere dei grandi fuochi all’aperto, chiamati appunto foconi, ogni notte, dal solstizio d’inverno fino al giorno dell’Epifania, proprio per sottolineare il grande legame tra uomo e natura. Il fuoco, il legno che arde, simbolo della luce e della speranza della vita, ripreso poi anche in casa, privatamente, con il ceppo di cui vi abbiamo già accennato prima.