Bologna, 22 settembre 2019 - Nel 1992, quando si doveva eleggere il nuovo presidente della Repubblica, qualcuno infilò nell’urna una scheda con un nome che voleva essere una provocazione. Ma quel nome, quanto meno come immagine all’estero, sarebbe stato azzeccatissimo. «Il nostro amore per l’Italia è profondo», disse ad esempio Barack Obama ricevendo l’allora premier Matteo Renzi: "Amiamo il vino, il cibo e Sophia Loren". Dicono infatti di lei che sia "l’unica vera diva del nostro cinema, la sola che all’estero possa rivaleggiare con il marchio della Ferrari o con il bel canto di Pavarotti": è una delle tante definizioni della Loren raccolte da un grande giornalista, Giorgio Dell’Arti, nella sua rassegna stampa Anteprima di venerdì, giorno in cui l'attrice ha compiuto 85 anni. Eh sì: la grande Sophia Loren, che se non si offende defineremmo un monumento nazionale, ha 85 anni. E sarebbe perfino banale dire che li porta bene: un’altra grande attrice, Meryl Streep, dice di Sophia che "è l’unica donna che è riuscita a rimanere sexy anche da vecchia". Sul suo esser sexy la Loren ha costruito buona parte della sua fortuna. Anche se bisognerebbe poi intendersi su che cosa voglia dire essere sexy. De gustibus non disputandum est, infatti. "Non è il mio tipo. Troppa. Una bellezza prepotente", disse di lei Dino Risi. "Una bella donna ma non il mio genere", sentenziò lo stilista Roberto Capucci. Eppure, ha fatto girare la testa a uomini come Richard Burton, Peter Sellers e Cary Grant, che pure si diceva omosessuale. "Ha dei seni epocali", diceva Lina Wertmuller. "È un albero di Natale", la definiva Alberto Sordi, mentre il grande umorista Marcello Marchesi la battezzò "il petto atlantico". Come tutte le donne veramente sexy, non poteva essere perfetta: e infatti perfetta non lo è mai stata, neanche da giovane. A far innamorare non è mai la perfezione - ammesso che esista una perfezione - ma qualcosa che ha a che fare con il mistero: "Di perfetto non ha quasi nulla", annotò acutamente Giorgio Albertazzi: "È come una giraffa, una mostruosità della natura, quella bocca sproporzionata, due seni come meloni, i fianchi stretti, ma l’insieme è irresistibile". Lei, infine, tagliò corto risolvendo la questione così: "Il sex appeal è al cinquanta per cento quello che hai e al cinquanta per cento quello che gli altri pensano che tu abbia". Ma son poi, questi, discorsi da uomini, o meglio da maschi, da poveri maschi che si portano dentro un animale, come ha confessato - a nome della categoria - lo scrittore Francesco Piccolo in un suo libro recente.
Parlare di Sophia Loren solo per la sua bellezza e per il suo sex appeal è far torto a lei e alla sua storia. La Loren è infatti un miracolo vivente di passione, di impegno, di tenacia, di capacità di sottrarsi a un destino che pareva ingrato. "Tutto ciò che ha raggiunto se l’è guadagnato con la fatica e con l’entusiasmo. Ha imparato tutto, dall’italiano all’inglese. Ha imparato perfino a ridere a bassa voce, lei che lo faceva a scroscio, spaccando i vetri": scrisse di lei Indro Montanelli. "Non è stata una vita fortunata la sua, ma voluta: costruita con il talento e con il carattere", confermò Enzo Biagi. Il padre, ad esempio. Sophia non l’ebbe mai. Sua madre, Romilda Villani, insegnante di pianoforte, si innamorò di un uomo - Riccardo Scicolone, impiegato in una società di costruzioni ferroviarie - che le diede due figlie, ma che non la sposò mai, facendosi poi un’altra famiglia. "Vidi mio padre quando avevo 5 anni, lo rividi quando ne avevo 7 e, infine, l’ho visto per l’ultima volta quando è morto", ha raccontato lei. Sofia Villani Scicolone, prima di diventare Sophia Loren, vive a Pozzuoli e poi a Napoli in miseria o quasi. Perfino i suoi esordi sembrano segnati dalla sfortuna. A 15 anni partecipa a un concorso di bellezza ma le danno solo un premio di consolazione. "La madre", si racconta, "entrò furente nella redazione del Corriere di Napoli trascinando Sofia al cospetto dei giornalisti del quotidiano e, ordinandole di mostrare le gambe e sollevandole la gonna, rimproverò a tutti di avere negato il primo premio 'a questo ben di Dio'". L’anno dopo, 1950, partecipa a miss Roma ma arriva seconda. Poi a miss Italia, dove arriva solo quarta: ma a Salsomaggiore conosce Carlo Ponti, l’uomo della sua vita. Di ventidue anni più vecchio di lei, Ponti fu per lei tutto: amante, marito, padre, produttore. La affidò a vari registi, indovinando alla fine il migliore: "Sophia", scrisse Montanelli, "è un’argilla docile e duttile che le consente di essere con disinvoltura oggi Cleopatra, domani la ciociara. Dipende dal polpastrello che la modella. Ponti le trovò quello più congeniale: De Sica". Fu De Sica a portarla all’Oscar, nel 1962, con La ciociara. Sophia seppe della statuetta nella sua casa di Roma, alle sei del mattino, da una telefonata di Cary Grant. Era la prima volta che un attore o attrice italiana vinceva quel premio per un film italiano parlato in italiano. Erano i beati anni Sessanta, e il nostro Paese si risollevava dalla sconfitta della guerra e dalla miseria del dopoguerra grazie a un concentrato di talenti, di forza di volontà e di ottimismo che non abbiamo, ahimè, più avuto.