Roma, 26 luglio 2023 – “Sono stata una persona molto travagliata", diceva Sinead O’Connor, scomparsa ieri a 56 anni. E il timore che quel travaglio abbia potuto inghiottirla nella zona più cupa del suo io un anno dopo la perdita del figlio Shane, suicida a soli 17 anni, tiene tutti col fiato sospeso.
Aveva dei seri problemi di salute, sì, ma già in passato Sinead si era trovata a camminare pericolosamente sul ciglio del non ritorno. Una vita bruciata dal fuoco che le ardeva dentro, prima che dalla malattia, quella della cantante irlandese, messasi in luce con l’album The Lion and the Cobra , ma divenuta una celebrità con la cover princiana di Nothing Compares 2 U , del 1990. Un successo internazionale, che le aveva dato una fama duratura, consegnandola alla storia come un’icona musicale degli anni Ottanta e Novanta, per quanto abbia fatto parlare di sé, occupando le cronache, non solo per le sue performance musicali.
Una diva no, quello non lo era mai diventata, sfuggendo alle lusinghe della ragazza da manifesto con l’adozione di una serie di nomi, figli dei suoi percorsi mentali. L’ultimo, Shuhada Davitt, l’aveva attinto cinque anni fa dalla conversione all’Islam, annunciata nel 2018. "Questo è la naturale conclusione del viaggio di qualsiasi teologo intelligente – aveva detto la cantautrice irlandese, cresciuta in un ambiente profondamente cattolico – Tutto lo studio delle Scritture porta all’Islam. Il che rende ridondanti tutte le altre scritture. Mi verrà dato (un altro) nuovo nome. Sarà Shuhada Davitt".
Ma già sul finire degli anni Novanta aveva iniziato a farsi chiamare Madre Bernadette Mary diventando adepta di un movimento cattolico indipendente con la missione "di salvare Dio dalla religione". Una scelta in linea con il gesto che nel 1992 l’aveva precipitata nel gorgo dei media, quando davanti alle telecamere del Saturday Night Live aveva cambiato improvvisamente le parole della War di Bob Marley, denunciando poi la pedofilia in certi ambienti cattolici, strappando davanti in diretta una foto di Papa Wojtyla gridando "combatti il vero nemico".
Le conseguenze del clamoroso gesto l’avevano sprofondata in una depressione capace di travolgere spesso l’eroina dei dischi condannandola a una vita sospesa tra studio di registrazione (una decina di album dalle alterne fortune) e il gabinetto dello psichiatra. Tutto accompagnato da colpi di testa come il matrimonio nel 2011 con Barry Herridge, durato 18 giorni. Niente che non le fosse rovinato addosso già da bambina.
Nata a Dublino nel 1966, era stata profondamente toccata all’età di nove anni dalla separazione dei genitori, il giudice l’aveva infatti affidata alla madre, alcolizzata e depressa, morta poi in un incidente d’auto spezzando definitivamente quel rapporto di amore e odio evocato da Sinéad in diverse canzoni. "Sono da sola, tutti mi trattano male e sono malata" aveva detto nel 2017 prima di diventare musulmana. E ancora: "Le malattie mentali sono come le droghe... E non c’è niente eccetto il mio psichiatra, la persona più dolce al mondo, che mi tiene in vita. Voglio che tutti sappiano cosa significa, e perché faccio questo video. Le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma: all’improvviso tutte le persone che dovrebbero amarti e prendersi cura di te ti trattano male".
Sulle sue vicende aleggiava un senso di insopprimibile malessere, insieme alla paura, per chi riusciva a starle vicino, di un gesto definitivo. Quello che nel gennaio dell’anno scorso ha compiuto suo figlio Shane appena diciassettenne, dopo essere fuggito da un ospedale dove era ricoverato proprio perché aveva manifestato tendenze suicide. Nella disperazione di quel momento annunciò in un tweet l’intenzione di "seguire mio figlio". Poi si scusò, dichiarando che si sarebbe curata. Ora se ne è andata, lasciando dietro di sé tre figli e una scia di profonda tristezza.