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Stefano Massini, 49 anni, drammaturgo e direttore del Teatro della Toscana
Firenze, 20 febbraio 2025 – Un luogo aperto alla città, un luogo dove si dà voce e si ascolta la gente. È questo il teatro che immagino e che sto costruendo, un teatro nella realtà, di servizio pubblico”. Così lo scrittore e drammaturgo Stefano Massini presenta “Liberamente – Una scuola popolare di scrittura“, inaugurando così la sua direzione artistica del Teatro della Toscana (il sistema di sale rappresentato dal Teatro della Pergola, dal Teatro Era di Pontedera e dal Teatro di Rifredi). Tradotto e rappresentato in oltre trenta paesi in tutto il mondo, Massini si è qualificato negli anni come uno straordinario cantore di storie narrate in tutte le forme possibili, dalle opere teatrali ai seguitissimi interventi televisivi, dalle colonne dei giornali ai romanzi, dagli spettacoli dal vivo ai saggi. E adesso sale in ‘cattedra’ con il suo stile pop, graffiante ed emozionante: dal 2 marzo, per quattro domeniche (orario 11-13), nelle sale del Teatro della Toscana si scrive e ci si confronta sul tema della paura (ingresso libero, prenotazione online consigliata su www.teatrodellatoscana.it).
“Liberamente“ è una scuola per menti libere?
“A teatro solitamente si va a vedere lo spettacolo: si sta seduti in platea, in silenzio e si guarda cosa accade sul palco dove ci sono persone che in vari modi esprimono determinati sentimenti. Qui si ribalta la prospettiva, si dà la parola al pubblico, alla gente disponibile all’ascolto e soprattutto al dialogo, alla provocazione, alla messa in discussione di opinioni e di punti di vista. È un esperimento importante perché quando queste persone torneranno a teatro lo faranno da interpreti del teatro stesso”.
Che tipo di scuola è?
“Intanto non è una scuola tradizionalmente intesa, tantomeno un corso di scrittura. È un’iniziativa in quattro appuntamenti non rivolti a chi sa già scrivere bensì a coloro che sentono di avere qualcosa da esprimere, da condividere o forse semplicemente da esprimere in parola scritta. È libera e accessibile a tutti senza preclusioni di età, provenienza o altro. I partecipanti saranno liberi di seguire uno o più appuntamenti”.
Come si svolgono gli incontri?
“Di volta in volta lancerò degli stimoli, delle suggestioni per scrivere semplici frasi, non poemi o racconti. Prima una frase, poi due-tre accompagnate da esercizi particolari ma facili. Forniremo quaderno e penna a ogni partecipante. E alla fine dell’esperienza raccoglieremo gli scritti per capire come le persone hanno provato a raccontarsi su vari temi, una sorta di intervista collettiva”.
Perché partire con il tema della paura?
“Viviamo in un’epoca profondamente fobica dove la paura viene continuamente alimentata dai social, dai media, dalla politica... La paura rende duttile la massa, la paura mette il singolo in una posizione di svantaggio. Dall’inizio del secolo scorso, il marketing si basa sul ricordare che la paura di essere infelici la si sconfigge comprando quel determinato oggetto. Ognuno ha le sue paure, ce ne sono tante e proveremo a raccontarle tutte: paura delle nuove tecnologie, della guerra, di perdere il lavoro, l’ansia, le fobie sociali. Sarà interessante ascoltare e capire le paure degli altri, confrontarsi su grandi tematiche. La rabbia sarà al centro del secondo ciclo”.
Ci spiega la scelta della domenica mattina per gli incontri?
“Intanto perché è una collocazione che per quasi tutti è libera dal lavoro e dalla routine settimanale. Poi perché la domenica mattina nella cultura cattolica corrisponde alla messa, il momento fondamentale della settimana. Ecco, noi proveremo a convocare la città nel tempio del teatro per una liturgia laica durante la quale si dà la parola alle persone. Come dire: “Vieni qui a raccontarti per salvarti“. Mi auguro che questa iniziativa diventi un appuntamento fisso: abbiamo bisogno di ascoltarci, di unire le idee e confrontarci”.
Questa scuola è il primo di atto del suo teatro di servizio pubblico…
“Sì, sto perfezionando le collaborazioni con il carcere di Sollicciano e con l’ospedale di Careggi. Ho intenzione di portare il teatro a Firenze Montedomini, la città degli anziani, per portare sempre più il teatro fuori dal teatro. L’obiettivo finale è far entrare in sala coloro che non ci sono mai stati, ma per farlo bisogna farsi conoscere, aprirsi. Credo che il pubblico non sia “nostro“, inteso degli artisti sul palco, perché quella parola lì definisce un recinto chiuso”.