Washington, 15 luglio 2018 - No. Scarlett Johansson proprio non se la sente. E non perché non ne sia capace, ma perché il politically correct hollywoodiano non glielo perdonerebbe. E così la sua rinuncia a interpretare il ruolo di Dante ‘’Tex’’ Gill nel film di Rupert Sanders diventa l’epitome di una cultura pervasiva. Di quella cultura, per intenderci, che nel segno della lotta alle discriminazioni di genere seppellisce nel cimitero dei valori obsoleti ogni differenza naturale fra uomo e donna e ogni riferimento alla famiglia tradizionale. E così la sua casa produttrice, These Pictures, le fa firmare una dichiarazione simile più a un mea culpa che a una spiegazione. Alla luce delle questioni «etiche» – fa sapere l’attrice – una sua partecipazione al film sarebbe stata «insensibile». E invece «io ho grande ammirazione e amore per la comunità transgender e sono grata al fatto che a Hollywood il processo di inclusione continui». E ancora: «La nostra comprensione culturale delle persone transgender aumenta e ho imparato molto dalla comunità da quando è uscita la notizia del mio casting».
L'ANNUNCIO / Scarlett Johannson star di 'Rub e Tug' In effetti sia l’attrice che il produttore erano rimasti sorpresi dal risalto dato alle proteste. Le organizzazioni LGBTQ affermavano che la storia di Dante era cosa loro. Dunque l’interprete sarebbe dovuto essere uno di loro, un attore cioè che si riconoscesse nell’acronimo di cui sopra (L sta per lesbiche, G per gay, B per bisessuali, T per transgender, Q per questioning, per coloro che ancora sono incerti sulla propria appartenenza sessuale). Un composito cocktail di genere, cui i giornali filodemocratici della costa orientale hanno fatto da cornice registrando quanto pochi siano stati i ruoli cinematografici. Eppure è aumentato – e di parecchio – il numero dei film a loro dedicati.
Non una sorpresa: negli Stati Uniti sono diventati una forza elettorale non trascurabile, fra gli 8 e i 9 milioni secondo stime prudenti. In certi Stati sull’Atlantico e sul Pacifico Bill Clinton e Barack Obama non avrebbero avuto la maggioranza senza il loro appoggio. Si tratta di comunità motivate, intellettualmente preparate, politicamente impegnate, socialmente integrate, editorialmente potenti. Questo il background che fa da sfondo alla decisione attribuita a Scarlett Johansson. Decisione destinata a fare giurisprudenza, in senso metaforico si capisce. Voglio dire che da ora in poi le case produttrici faranno calcoli prudenti prima di assegnare ruoli transgender ad attori che non lo sono. «È assurdo – scrive Jen Richards, scrittore e attore – che le parti transgender siano affidate a cisgender». I cisgender sono coloro che nascono donne o uomini e muoiono come tali. Categoria apparentemente in crisi di sopravvivenza. Scarlett Johansson è nata donna. E che donna! Non le è mai venuto alcun dubbio sulla propria appartenenza sessuale. Né sullo schermo né nella vita privata. Quattro anni fa fu nominata l’attrice più sexy di Hollywood. Ma allora non c’era ancora stato il caso Weinstein, non era nato il movimento del #Me Too, non era partita l’offensiva femminista che avrebbe messo in croce gli squali delle majors e avviato la riconversione sessuale del cinema americano. Il caso del film dedicato a Dante conferma il paradosso. Oggi l’unica sessualità ammessa e anzi ostentabile con consapevolezza e orgoglio sembra la omo-lesbo-trans. O queer, come quella del personaggio del mancato film della Johansson. Dante era una donna. Divenne un boss del crimine nella Pittsburg degli anni Sessanta. Aprì un paio di bordelli. Poi si scoprì uomo e morì come tale. Personaggio interessante e curioso, certo non un modello per le giovani generazioni già tanto confuse, ma comunque meritevole di attenzione commerciale. Per una parte tanto complicata la Johansson sembrava la persona giusta. L’hanno costretta a cospargersi il capo di cenere. Troppi e troppo influenti gli LGBTQ.