Giovedì 21 Novembre 2024
MATTEO MASSI
Magazine

Scandalosa e geniale: l’inno di Jane alla libertà

Parigi, Birkin è morta a 76 anni. Il suo sensuale duetto con Serge Gainsbourg in “Je t’aime moi non plus“ segnò per sempre un’epoca

Jane Birkin

Jane Birkin

Quel 45 giri alla Rai non era mai stato spedito: troppa era la paura che fosse censurato. Ma nel 1969 (a un anno esatto dal Maggio francese), tutti parlavano di quella canzone: Je t’aime, moi non plus. Così quando arrivò al quarto posto di Hit Parade, il programma radiofonico di Lelio Luttazzi, la Rai decise che quella canzone non andava assolutamente trasmessa e che il conduttore non doveva pronunciare nemmeno il titolo. Era la canzone dello scandalo, la canzone costruita con sospiri e gemiti. La canzone più erotica che si fosse mai ascoltata prima. Serge Gainsbourg e Jane Birkin le due voci, compagni in sala di registrazione e nell’Hotel di rue des Beaux Art, a Parigi, dove nel 1900 era morto Oscar Wilde e dove avevano scelto di andare a vivere.

Jane Birkin se ne è andata ieri a 76 anni (trovata morta nella sua abitazione parigina). Trentadue anni dopo la dipartita di Gainsbourg, da cui si era separata nel 1980, e a dieci dalla morte di Kate Barry, la sua prima figlia. Jane, Serge e poi Kate nella stessa casa. Tutto iniziò così: lei arrivava dalla Swinging London e da Blow up di Michelangelo Antonioni (1966) e la scena in cui aveva mostrato il seno l’aveva trasformata immediatamente in un’icona sexy. Una bellezza androgina – quelli erano i canoni del tempo – ma comunque ammiccante e inevitabilmente trasgressiva. Il volto di una rivoluzione dei costumi, delle libertà (anche sessuali) già in atto.

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Aveva appena mollato suo marito John Barry, l’uomo delle colonne sonore di James Bond (sposato a 17 anni) ed era finita, quasi per caso, sul set di Slogan, in cui c’era anche Gainsbourg. Non fu proprio un amore a prima vista. Ci volle un po’ prima che finissero per vivere assieme una notte da romanzo. Niente sesso, perché lui si addormentò e lei gli lasciò nella stanza dell’hotel Hilton, tra le dita dei piedi, il disco Yummy, yummy, yummy degli Ohio Express che avevano ballato tutta la notte: prima di arrivare a bere champagne al mercato delle Halles all’alba. "C’erano i macellai con i grembiuli insanguinati – ricordava lei di quella notte – che scaricavano la carne".

Diventati una coppia, finirono in uno studio di registrazione per la canzone più scandalosa della storia della musica: Je t’aime, moi non plus, appunto. Quella canzone era rimasta ferma per due anni (dal 1967 al 1969) nella sede della Philips. "Serge – racconta sempre Jane nel suo libro di memorie Munkey diaries (Munkey è lo scimmiotto di peluche che decise di mettere nella bara di Gainsbourg nel 1991, come ultimo atto d’amore, l’eternità evocata da lui) – l’aveva pensata per Brigitte Bardot. E ogni volta che la vedeva sbiancava ancora".

Poi il marito della Bardot vietò che BB cantasse quella canzone così scandalosa assieme a Gainsbourg. Ma Jane non è mai stata gelosa di Brigitte Bardot. Nemmeno – e questi sono i contorni di una leggenda forse metropolitana – quando si diceva che BB e Serge non avevano finto sospiri e gemiti nella registrazione di quella canzone. Ma che il rapporto sessuale ci fosse stato davvero.

Quella canzone è la sintesi perfetta della relazione tra Gainsbourg e Birkin, scandalosa, appassionata. Vera, insomma: un’unione di corpo, sentimenti e cervello. François Mitterrand stravedeva per entrambi. E per motivi diversi: di Gainsbourg diceva che fosse il "Baudelaire contemporaneo", lei invece gli ricordava il maggiore David Birkin (il papà di Jane), comandante della Royal Navy inglese che l’avrebbe salvato nel febbraio del 1944 (anche qui si toccano i contorni della leggenda) durante la guerra.

Ma Jane non era solo la donna di Gainsbourg: dalla loro unione nacque Charlotte con il Dna di artista subito definito tra canzone e cinema. "Le mie figlie hanno preso il talento dai loro padri", disse, sottovalutandosi assai. D’altronde era la stessa che a 13 anni scrisse rivolgendosi sempre allo scimmiotto Munkey nel suo diario, che aveva paura di invecchiare: "Ero carina, pensavo che dopo i 40 sarebbe finito tutto". E invece dopo i 40 non finì tutto. Almeno per lei. Il terzo amore, il regista Jacques Doillon, e la terza figlia Lou.

Il testamento di Jane? Non sta né nelle linee della borsa di Hermès a lei dedicata, né sulle locandine dei film che ha interpretato e nemmeno sulle copertine delle canzoni che ha cantato con Gainsbourg, ma in un disco che ha inciso tre anni fa. Aveva già 74 anni. E quel disco è una lettera aperta, in forma di canzoni, alle sue tre figlie, alle due ancora vive e a Kate che non c’è più. "Tutte e tre – disse – per rimuovere l’ingombrante ombra mia e dei loro padri, si sono allontanate da casa per scegliere la propria strada". Si chiama libertà. Che lei, Jane, ha incarnato fino all’ultimo giorno.