Roma, 31 ottobre 2021 - Dopo trent’anni Giancarlo Magalli lascia I Fatti Vostri. È una notizia. "Per la verità l’avevo lasciato altre volte, per dedicarmi a programmi diversi. Nei primi anni ci alternavamo nella conduzione con Fabrizio Frizzi e poi con Alberto Castagna e Massimo Giletti, ma negli ultimi venti l’ho fatto solo io. Avevo voglia di cimentarmi con una cosa diversa, più leggera, a basso tasso di mortalità: un quiz, appunto, oppure il Vescovo...".
- Già, perché lei sarà il Vescovo nel nuovo Don Matteo interpretato da Raoul Bova. Prima di entrare nel ruolo dovrà confessarsi...
"Casomai sarò io a confessare Raul Bova, che è più peccatore di me... E pensare che il ruolo di don Matteo sarebbe dovuto toccare a me. Me lo avevano proposto ma avevo declinato, perché avrei dovuto vivere per otto mesi a Gubbio... A Roma c’erano mia moglie e mia figlia: impossibile. E così scelsero Terence Hill".
- In un’intervista ha detto che anche nei Fatti Vostri a volte si esagerava e si esagera con la tv del dolore...
"La tv del dolore è una cosa che va e viene da sempre. Ne siamo stati vittime anche noi, soprattutto all’inizio. Quando c’era Castagna cominciarono ad arrivare dei casi drammatici e si scoprì che conquistavano l’attenzione dello spettatore. L’importante è non chiamare la gente solo per farla piangere e non raccontare solo quel tipo di storie. Però, almeno quando c’ero io, a I Fatti Vostri non abbiamo mai esagerato con la tv del dolore. Mi sono sempre opposto alle storie inutilmente tristi. Ma ci sono ancora tanti programmi che vanno a rimestare nelle disgrazie della gente".
- Chi ha cominciato?
"Difficile da dire. Castagna non aveva mai fatto il conduttore – era un giornalista che teneva dei collegamenti per aggiornare sulla guerra in Iraq – e Michele Guardì decise di provarlo in studio. Per andare sul sicuro, gli affidò dei casi un po’ forti, per sostenerlo. Forse cominciò così. In realtà lui era bravissimo e il programma andò benissimo. Alberto e Fabrizio mi mancano molto, così come Gianni Boncompagni, sempre ironico e puntuto. Anche io ne ho fatti di casi lacrimevoli, quelli che offriva la cronaca, senza tuttavia andarli a cercare".
- Si è mai mai pentito di aver esagerato?
"Un caso ha un senso se racconta qualcosa. Una storia deve avere un ammonimento, contenere un insegnamento, qualcosa che aiuti le persone a capire, che le arricchisca. Raccontare un fatto drammatico solo perché fa piangere non va bene. Non si racconta il caso della mamma col figlio morto in un incidente stradale: che senso ha? Può servire invece raccontare di un incidente in una strada su cui ne sono successi tanti altri, e spingere così le autorità a intervenire. Se il caso serve solo all’ascolto è una cosa un po’ bieca".
- Ci sono trasmissioni che invece seguono questa linea?
"Ce ne sono parecchie, in cui il conduttore si fa un punto d’onore nel far piangere l’ospite. E dove, però, vedo che gli ospiti vanno tranquillamente a piangere. Trasmissioni dove ognuno racconta di un figlio morto, di un genitore malato, di una disgrazia: ci vanno e piangono. In programmi del genere ci sono andato anche io, ma non ho mai pianto. Li avverto subito: non cercate di farmi piangere perché con me non ci riuscite".
- Come è il nuovo quiz Una parola di troppo, che partirà domani su Raidue alle 17.15?
"È un quiz sulle parole, ma non nozionistico. Un quiz a cui possono partecipare tutti quelli che hanno la conoscenza della nostra lingua, che di questi tempi è già tanto. Quelli che se la cavano possono giocare, quelli che non se la cavano la guarderanno e magari impareranno qualcosa".
- Il suo quiz ricorda in qualche modo Parola mia con Rispoli?
"Parola mia, Passaparola e tanti altri. Programmi sulle parole ce ne sono sempre stati. Questo è diverso, perché sulle parole ci sono tanti giochi differenti".
- Come concorrenti ci saranno anche ragazzi giovani?
"Certo, ma sempre maggiorenni. Cerchiamo di rappresentare l’Italia il più possibile, sia come provenienza geografica sia come età".
- Nel libro appena uscito C’era una volta, Lello Arena racconta un episodio curioso. Massimo Troisi aveva allestito in una parte della casa una sala da biliardo. Per inaugurarla, la chiamò per una partita. Come partner le affibbiò Lello Arena, che non sapeva giocare, mentre Troisi si prese un campione come compagno...
"Con Massimo ci divertivamo molto. Per sentirsi meno emigrante, nella taverna della casa aveva ricostruito il bar di San Giorgio a Cremano, e lì aveva messo il biliardo. Gli amici e i colleghi li riceveva lì, nel sottosuolo, mentre il salotto era riservato ai dirigenti Rai o ai produttori cinematografici...".
- Di questi tempi Raidue, che in fondo è la sua rete, non gode di ottima salute, gli ascolti vacillano, molti programmi si sono rivelati dei flop...
"Povera Raidue... Bisognerebbe aggiungere che vanno male quando riescono ad andare in onda. C’è una decina di programmi che erano già in lavorazione – quello di Pino Insegno, quello di Broccoli, quello di Samanta Togni – e che sono stati tutti fermati per problemi di budget. Però Raidue ha avuto anche successi. Tra poco va in onda Il Collegio, e per il sesto anno io do la voce al programma. Nello stesso filone ci sono stati Voglio essere un mago! e La caserma, ma la scuola è quella che tocca di più perché tutti l’hanno fatta. È l’unico programma che unisce sul divano nonni, genitori e figli. I nonni ricordano i loro tempi, i genitori si accorgono di quanto i giovani di oggi, compresi i loro figli, siano tendenzialmente ignoranti, e i ragazzi si divertono a vedere i coetanei in una situazione così diversa. A me l’idea che i ragazzini di undici, dodici anni, mi conoscano, mi fa sorridere. E pensare che diventerò vescovo..."