Martedì 10 Dicembre 2024
ANDREA SPINELLI
Magazine

Sapore di musical, Vanzina dal film al teatro: “La nostra memoria a-a-abbronzatissima”

Il regista riadatta la sua pellicola cult, al debutto il primo febbraio a Montecatini. Cinquantaquattro canzoni in scena. “Ma su tutti amo Paoli, Tenco e Conte”

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Fatima Trotta e Paolo Ruffini nel musical Sapore di mare. In alto, Enrico Vanzina

Roma, 11 dicembre 2024 – Un juke box carico di memorie a-a-abbronzatissime. Sapore di mare - Il musical debutta il primo di febbraio al Verdi di Montecatini con con la regia di Maurizio Colombi e l’adattamento teatrale di Fausto Brizzi ed Enrico Vanzina, autore quarant’anni fa col fratello Carlo della versione cinematografica da cui è nato tutto. Fatima Trotta nei panni vestiti sul set da Marina Suma, Edoardo Piacente in quelli di Jerry Calà, Lorenzo Tognocchi in quelli di Christian De Sica, Anna Foria in quelli di Isabella Ferrari, saltano sulla sella della Vespa guidata tra memorie generazionali da un Paolo Ruffini nel ruolo di Cecco il fotografo. Orchestra dal vivo e costumi, trucco, acconciature di Diego Della Palma.

Vanzina, cos’ha pensato quando le hanno proposto l’idea del musical?

“Sono stato contento, ma non sorpreso. Già tanti anni fa Carlo ed io fummo chiamati da Pietro Garinei, fraterno amico di nostro padre (Steno - ndr), per proporci una versione teatrale di Sapore di mare da portare in scena al Sistina. Godendo, infatti, come Mamma mia degli Abba, di una colonna sonora stra-collaudata, con canzoni eterne che ben si prestano a portare avanti una storia, il film ben si presta a passare dal grande schermo ai palcoscenici del musical. Purtroppo, Pietro non ebbe il tempo di realizzare questo suo progetto e il vuoto lasciato dalla sua scomparsa tolse pure a me e mio fratello lo slancio per provarci”.

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Enrico Vanzina (Ansa)

Cinquantaquattro canzoni, anche se solo accennate, sono tantissime.

“Già, molte più che nel film. La trovo una colonna sonora-monstre con dentro la memoria storica di un paese. Mi stupisce solo l’assenza della cocciantiana Celeste nostalgia, perché è il brano da cui partì l’idea di una storia anni Sessanta che finisce, però, col far ritrovare i suoi protagonisti negli Ottanta. Fra l’altro, Riccardo Cocciante era mio compagno di scuola al Liceo Chateaubriand di Roma e stavamo assieme pure nel gruppo scout della Parrocchia San Luigi dei Francesi. Lui si portava dietro un sax-giocattolo con cui la notte, in tenda, ci rompeva i timpani finché non l’obbligavamo a smettere di suonare. Mai avremmo immaginato che sarebbe diventato quel che è oggi, un genio della musica”.

A proposito chi è il suo cantautore preferito?

“Grazie alla benevolenza del gestore Ascanio Palchetti, ho iniziato a lavorare nel mondo dell’intrattenimento esibendomi come pianista in un locale di Cortina d’Ampezzo, il King’s Club, anche se il vero ‘titolare’ era Gianni De Sabata, nipote del grande direttore d’orchestra Victor De Sabata. Avevo un debole per le canzoni di Luigi Tenco e di Gino Paoli e quando toccava a me attingevo a piene mani dai loro repertori. Amo molto, però, pure Paolo Conte”.

Lo definisce “un piccolo romanzo di formazione su come si diventa grandi che trasmette sentimenti eterni”.

“Io e Carlo non abbiamo mai pensato, o quasi, prima alla cassetta e poi al film. Anche perché, quand’è accaduto, abbiamo sbagliato. È accaduto con Banzai, il nostro secondo film con Villaggio e probabilmente il più brutto della nostra filmografia, girato in Giappone col proposito di fare soldi replicando dopo due anni la formula di Io no spik inglish sempre con Paolo”.

Un altro vostro film generazionale oltre a Sapore di mare?

“Ce ne sono tantissimi, a cominciare da Vacanze di Natale. Ce n’è uno, però, a cui il tempo non ha dato giustizia ed è Il cielo in una stanza, pure quello dal titolo paoliano ambientato negli anni Sessanta, forse il migliore realizzato con mio fratello, fra l’altro quello che ha lanciato Elio Germano, oltre che Gabriele Mainetti poi diventato grazie a Lo chiamavano Jeeg Robot il fior di regista che tutti conosciamo”.

L’ultimo film che è riuscito a mettere assieme una storia evocativa con grandissimo romanticismo e sentimento?

“Probabilmente C’è ancora domani di Paola Cortellesi”.

Guardandosi indietro il primo ricordo dell’estate che le viene in mente?

“Quello del ’74 o ’75 in cui a Porto Ercole, dove mio padre girava Il padrone e l’operaio con Pozzetto, incontrai mia moglie, con cui condivido ancora la vita. Avevo una storia con un’altra a cui inventai la balla che le riprese si sarebbero prolungate e non avremmo potuto andarcene in vacanza come previsto. Insomma, usai papà per tirarmi fuori dai guai. Non me l’ha mai perdonata”.