“È un grande disagio quello che viene fuori dai testi della gara 2025” spiega il professor Massimo Arcangeli, classe 1960, docente all’università di Cagliari, linguista e sociologo della comunicazione che le parole delle canzoni di Sanremo le ha catalogate una per una con il suo team di ricercatori: tutte, proprio tutte, dalla prima edizione, 1951, fino alla numero 75, al via martedì (sito www.leparoledisanremo.it).
A colpire subito sono la fluoxetina e la serotonina citate da Fedez nella sua Battito.
“Certo: Fedez parla di un antidepressivo, appunto la fluoxetina, e della serotonina, che sappiamo ovviamente essere una molecola che in qualche modo regola l’umore, che agisce come un ormone, un neurotrasmettitore, che agisce sul sonno, l’empatia, le funzioni cognitive, la creatività e alla cui carenza è associata la depressione. Ma è tutto il Sanremo 2025 a esprimere fragilità, insicurezze, soprattutto tra i più giovani. Una fragilità psicologica che appare a sorpresa anche nella canzone di Rkomi – il cui testo non è affatto male –, quando cita “quelle macchie di Rorschach“ in cui “ci vedo cose, le più crudeli“. Rorschach è lo psichiatra svizzero che ha messo a punto il sistema delle tavole con gli schizzi di inchiostro simmetrici che aiutano gli specialisti a comprendere emotività e cognitività del paziente. Non solo Fedez, quindi: anche altrove non siamo messi molto bene. Un disagio espresso pure da Joan Thiele in Eco: “Forse sarà l’insicurezza, sarà che per noi la famiglia non è mai la stessa, sarà che siamo figli dell’indifferenza“”.
Depressione, ansia, fragilità, insicurezza: e il rifugio dov’è?
“È in un ritorno al passato, a Sanremo 2025 torniamo indietro di almeno 50 anni. Per questo proliferano cuori, batticuori, baci. Pianti quando non piagnistei. Intimismo, famiglia, una famiglia che può estendersi oltre i limiti naturali ma che dia senso di protezione. Molti padri, molte madri: grande il ritorno della mamma. E disimpegno totale”.
Millennials, Gen Z: come Boomer usano parole tipo “lire“, fumano una “sigaretta“ dietro l’altra, guardano la “tv“ e usano il “telecomando“. Ma neologismi? Inedite parole straniere?
“Ci sono tantissimi termini inglesi, come ovviamente capita quando si tratta di così tanti artisti diversi, dai trapper ai veterani. Penso allo Shot di Gaia, alla Star Quality di Marcella Bella. In questo senso uno dei testi più interessanti, al di là della tessitura, è Febbre di Clara in cui andiamo da un Glitch a un Bling bling a un Blu Klein...”
Blu Klein nel senso dei jeans di Calvin o della body art di Yves?
“No no, nel senso del blu unico di Yves Klein. C’è una certa coloritura artistica in questi testi che spesso si portano dietro immagini di richiamo, pensiamo pure al Kandinsky citato dai Modà”.
C’è anche un maggior uso, rispetto al passato, di termini francesi: je t’aime, enfant, vie en rose, rendez-vous... o no?
“Sì. E anche questo ci riconduce al passato: ci sono molti ricordi, c’è un tentativo di ancorarsi a una tradizione che può garantire maggiore sicurezza, per cui il francese è l’ideale per creare quelle atmosfere evocative che ci legano a un passato che profuma di charme, fascino. Di nuovo: nostalgia”.
Effetto nostalgia anche nelle tante citazioni nei testi: Tony Effe cita Califano, Rose “Almeno tu nell’universo“, Toscano Piaf, Brancale Maria Callas...
“Sì. È il classico fenomeno del riuso, che è di per sé una componente forte nel mondo musicale ma che nel Sanremo di quest’anno è in una percentuale senz’altro superiore al normale. Alle ultime nove edizioni di sicuro”.
Qualcosa di interessante?
“Lo “spaccino“ di Lucio Corsi, la sua “medaglia d’oro di sputo“, la sua capacità di creare cortocircuiti perfetti tra l’alto e il basso; le metafore della Michielin, “dopo centomila lacrime le grondaie cadono...“”
I testi migliori?
“Grazie ma no grazie di Willie Peyote, l’unico impegnato e ironico. Quello di Bresh, che usa molto bene le metafore. E anche quello di Cristicchi, con cui però si torna alla fragilità intimistica”.
I peggiori?
“Stimo tanto Giorgia ma che delusione: alcuni versi, “i ricordi se ne vanno piano, su e giù come un ascensore“, sembrano scritti dall’intelligenza artificiale; da Marcella Bella mi aspettavo un inno femminista, invece è tutto – a parte la Star Quality – molto banale”.
Nella sua canzone Tony Effe si definisce un “uomo d’onore”. Cosa intende, secondo lei?
“Potrebbe voler dire tante cose, spero che non significhi quello che ovviamente molti di noi potrebbero pensare. Tony Effe è Tony Effe: non gli si può chiedere seppur addolcendo tutti i toni, tutti i modi, che lui arrivi candido al Festival di Sanremo. L’incipit di Damme ’na mano è: “Io non soffro per te, non so fare l’attore, sono pronto a sbagliare come un uomo d’onore. Spengo la sigaretta come la nostra storia“: troppi elementi che in qualche modo turbano nell’insieme una canzone che appare tranquilla ma risulta ambigua. Lascio a lei le conclusioni”.