Firenze, 21 febbraio 2025 - Sanremo finisce con una piacevole sorpresa per l'Accademia della Crusca: le pagelle linguistiche dell'accademico Lorenzo Coveri, che hanno premiato con un 9 Lucio Corsi e promosso a pieni voti anche Brunori Sas, hanno rispecchiato sia l’andamento della gara che il gradimento del pubblico, dalle radio ai social. Un voto profetico insomma, visto che entrambi i cantautori nella classifica finale della kermesse canora sono arrivati rispettivamente secondo e terzo. Non solo: i brani promossi dalla Crusca risultano premiati anche dalle classifiche di ascolto e gradimento. Coveri aveva fornito precise e puntuali valutazioni linguistiche sulle canzoni presentate al Festival di Sanremo 2025, concentrandosi sull'uso della lingua italiana da parte degli artisti.
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Professor Coveri, quali sono stati i criteri per valutare i testi?
“La mia analisi dei testi è durata una settimana, in ordine alfabetico. Ma mi preme fare una premessa: le schede o pagelle sono state riprese dal profilo Instagram dell’Accademia, e mi ha sorpreso vedere titoli come “La Crusca stronca…” o “La Crusca boccia…”. Tengo a precisare che non abbiamo stroncato né bocciato nessuno. È passata l’idea della Crusca come un tribunale della lingua coi professori che alzano il sopracciglio: non è così. Questi voti mi sono stati chiesti come elemento di comparazione con altri giudizi. Guardando testo per testo, rigo per rigo, si trattava prima di tutto di vedere a quale modello di lingua si ispiravano i testi di Sanremo di quest’anno, e se questo modello in qualche modo aveva un punto di contatto con l’italiano contemporaneo, quello che si usa tutti i giorni. Con uno sguardo alla tradizione, cioè al classico linguaggio canzonettistico”.
Come è stato concentrarsi su questo tipo di testi?
“Quando si parla di lingua della canzone non bisogna mai dimenticare che questi testi sono destinati ad essere messi in musica e in qualche modo sono condizionati dalla musica. Sono testi che da soli si possono difficilmente valutare, bisogna poi sentire come suonano sul palcoscenico. L’uso di rime baciate in molti testi di questa edizione fanno parte della tradizione del linguaggio canzonettistico”.
Rispetto alla vecchia lingua della canzone oggi c’è una maggiore adesione all’italiano contemporaneo?
“Sì, perché mentre la canzone di una volta era aulica, iperletteraria, anche retorica se vogliamo, in questo, come anche negli ultimi Festival di Amadeus, c’è un maggior rispecchiamento dell’italiano contemporaneo, soprattutto a quello parlato. È un italiano vicino a quello di tutti i giorni, colloquiale, informale, familiare, con qualche caduta di parole meno eleganti. Di Sanremo si è detto, forse in modo esagerato, che è “uno specchio dell’Italia”. Seppur coi limiti che ho appena specificato, sempre pensando cioè che è una lingua della canzone, questo elemento lo troviamo nel rispecchiamento di un italiano quotidiano. Tirando le somme: i testi di questo Sanremo sono in bilico tra il ‘noto’, la tradizione del linguaggio canzonettistico (rime, assonanze, parole tronche) e il ‘nuovo’ nel rispecchiamento del parlato, che non può essere fedelissimo, perché, come dicevo, si tratta pur sempre di un linguaggio che deve sposarsi alla musica. Se confrontiamo le canzoni di oggi con quelle anche di 10 anni fa, il livello si è abbassato, ma non in senso negativo: nel senso che è diventato più vicino all’italiano vero o verosimile. I testi ci introducono a dei discorsi diretti, si rivolgono col tu a una donna, a un amore ecc.. Nel testo di Olly più che poesia c’era cronaca: ” Me l'ha detto la signora, là, affacciata al quarto piano…Con la sigaretta in bocca, mentre stendeva il suo bucato”.
Ha rintracciato della poesia?
“Non parlerei in senso autentico di poesia vera a propria. Perché mentre la poesia ha in sé tutto il suo senso, il linguaggio della canzone non è completo, è ‘celibe’ nel senso che gli mancano le note. Letti da soli i testi risultano poveri, ma cantati con l’interpretazione, diventano qualcos’altro. Sono due linguaggi diversi, ma dei punti in comune ci sono, come diceva lo stesso Vecchioni. E si rintracciano di più nei cantautori, dove l’importanza del testo è primaria, meno nella canzone pop. Anche nel rap la parola è importante”.
Ha dato a Lucio Corsi un 9, cosa l’ha colpita del suo testo?
“I voti più alti sono andati a Brunori Sas - hanno detto che ricorda De Gregori e infatti nel suo brano ci sono figure retoriche e immagini para poetiche – e a Lucio Corsi. Della canzone ‘Volevo essere un duro’ ho descritto l’attacco come "fulminante", con richiami allo stile di Chiosso-Buscaglione. Ho sottolineato la varietà lessicale e le citazioni culturali, tra cui l’uso del termine "robot" (risalente al romanzo del ceco Karel Capek) e il nipponismo "lottatore di sumo", impiegato per la prima volta in un testo sanremese. Ma il testo è solo un terzo della canzone: gli altri due terzi spettano alla musica e all’interpretazione sul palcoscenico. Si è parlato di una classifica tutta al maschile: devo dire che nella cinquina ci avrei visto bene anche Giorgia. Ma non si può parlare di patriarcato: nonne esce fuori un maschio forte e potente, perché gli uomini hanno messo a nudo le loro fragilità, dallo stesso Corsi a Fedez. Ben 24 canzoni su 29 parlavano di loro stessi: non c’è stato spazio per altro, non c’è stato in nessun brano alcun riferimento alla guerra o ad altre tematiche di attualità”.
Maurizio Costanzo