Se state aspettando Sanremo per accogliere a braccia - e menti - aperte canzoni piene di significato sociale, capaci di scuotere coscienze e, perché no, le piazze, preparatevi a rimandare i vostri entusiasmi a tempi migliori. L’edizione 2025 del Festival ha imboccato la strada delle emozioni personali e intime, piuttosto che dei temi collettivi. Le canzoni in gara raccontano storie di vita privata. A dominare la scena ci sono l’amore, la famiglia e i buoni sentimenti. Un approccio che, a prima vista, potrebbe sembrare in contrasto con un periodo storico che, a ben guardare, richiederebbe una riflessione più profonda e un impegno sociale ben più significativo.
Eppure, così sarà, come, del resto, aveva preannunciato il direttore artistico Carlo Conti, che aveva espresso il desiderio di orientarsi verso una selezione di brani più dolci e rassicuranti. L’idea sembra essere quella di tenere la politica lontana dal palco dell’Ariston, mettendo da parte l’attivismo e i temi sociali per privilegiare una cautela evidentemente più adatta al grande pubblico.
Le canzoni parlano di sentimenti, ma non solo: ci sono anche dolori, disagi individuali e conseguenze di un mondo sempre più frammentato e solitario. Fedez, per esempio, tratta il tema della depressione, ma lo fa in chiave personalissima, senza un accenno di respiro collettivo. Persino i testi di artisti solitamente considerati più schierati sembrano fare un passo indietro rispetto alla polemica e all’impegno. È interessante riflettere anche sul linguaggio usato nei testi, che, stando a quanto riferito dall’Accademia della Crusca, appare sempre più informale, lontano dalla tradizione letteraria e sempre più vicino al linguaggio quotidiano.
In questo panorama di amori e riflessioni individuali, si distingue solo Willie Peyote, che con "Grazie ma no, grazie" lascia intravedere uno spiraglio di attivismo, con un testo critico nei confronti del sistema e della politica. Non certo un manifesto, ma comunque un accenno di coraggio in un mare di pacatezza.
Il rischio che questo Sanremo possa trasformarsi nel rifugio di buone ma mal riuscite intenzioni è concreto. Leggendo i testi, emerge un’immagine di una società sempre più ripiegata su se stessa, dove i sentimenti dei singoli sembrano essere gli unici temi rilevanti. Il collettivo e l’impegno sociale paiono ormai ricordi di un’epoca lontana.
Eppure, Sanremo in passato ha avuto il coraggio di trattare temi scomodi e attuali: dall’ecologismo di Celentano ne “Il ragazzo della via Gluck” a "Per Elisa" di Alice, che parlava di eroina, fino a "Vita spericolata" di Vasco Rossi, che criticava l’omologazione degli anni ’80. Ci sono state anche "Italia d’oro" di Bertoli, che denunciava la corruzione del Paese, "La terra dei cachi" degli Elio e le Storie Tese, "Il paese è reale" degli Afterhours, "A bocca chiusa" di Daniele Silvestri. Canzoni che sono rimaste nella storia per il coraggio con cui affrontavano temi sociali e politici, invitando a riflessioni più profonde.
Così non sarà, purtroppo, a Sanremo 2025. Eppure, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, la musica avrebbe potuto - e dovuto - farsi portavoce di qualcosa di più. Il bisogno di coraggio, di voci che parlano non solo di sé, ma della società che ci circonda, delle ingiustizie, dei cambiamenti, è evidente. L’auspicio è che il Festival di Carlo Conti non diventi il luogo dove l’amore, pur nella sua universalità, sia davvero l’unica faccenda di cui parlare. Dimenticarsi di raccontare il mondo potrebbe rivelarsi un errore imperdonabile.