Sanremo, 16 febbraio 2025 – Carlo Conti è il Metternich della musica italiana. Dopo 5 anni di polemiche, liti, scandali, invettive e discussioni, Carlo IV ha imposto la pax, più che romana, raiana. La Restaurazione dopo la Rivoluzione. D’altronde, lo ha detto ieri lo stesso amministratore delegato Rai, Giampaolo Rossi: "Questo Festival è tornato a essere una festa, unisce e non più divide".
Amadeus, che non può essere certo tacciato di essere un giacobino, men che meno un descamisado, nei 5 anni di regno ha collezionato una lista impressionante di scandali e scandaletti. Ne abbiamo raccolto una piccola lista in ordine sparso (randomico no, per cortesia). Il bacio di Rosa Chemical a Fedez nel 2023, con tanto di atto sessuale simulato in platea. Sempre Fedez sulla nave della Costa stracciò la foto di Galeazzo Bignami in divisa nazista. Mahmood duettò la sua canzone d’amore in coppia con Blanco indossando una gonna (infatti Vannacci in questi giorni si è virilmente rallegrato: "Meno male che non c’è stato nessun uomo con la gonna"). I testi sessisti di Junior Cally nel 2021 – in molti chiedevano per lui il cartellino rosso – facevano il paio con quelli altrettanto violentemente volgari del gruppo La Sad (2024).
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E che dire di Achille Lauro che, con il brano Rolls Royce, venne accusato non di inneggiare all’auto più esclusiva del mondo ma a una particolare pasticca di ecstasy? Andiamo di fretta: Blanco distrusse i fiori, Bugo scappò dal palco lasciando un Morgan esterrefatto, gli allevatori assediarono l’Ariston, e poi il messaggio di Zelensky (Zelensky!), la presenza di Drusilla Foer, maschio en travesti (ma non c’era ancora Vannacci), gli Articolo 31 che con Fedez urlano dal palco "Giorgia, legalizzala!", Ghali che pronuncia la parola "genocidio". Infine le polemiche in proprio: la lode alla fidanzata di Valentino Rossi, "una donna che sa stare un passo indietro al grande uomo", le scarpe marchiate di John Travolta, la pubblicità occulta di Instagram. A ogni Sanremo di Amadeus bisognava stare all’erta.
Quest’anno è arrivato Carlo Conti, toscanaccio ma moderato, gentiluomo di ottime maniere, che ha steso una coperta di buoni sentimenti su ogni possibile sussulto. Abbiamo cominciato col Papa, poi un profluvio di vezzosa amabilità, a cominciare da Simone Cristicchi e la sua lodevole commozione per la madre malata. I figli, e i bambini, sono il tema dominante: quello prodigio che suona il piano, quell’altro che sa a memoria la storia del Festival, quello che piange mentre Damiano canta (non ha tutti i torti), quella di Brunori Sas a cui è dedicata la canzone. A proposito di lacrime: quelle di Carlo Conti che ricorda la mamma, quelle di Francesca Michielin ma non si sa perché. E ancora: l’incomprensibile e accessoria partecipazione di Paolo Kessisoglu con figlia a seguito, Bianca Balti malata ma coraggiosa che comunque pensa alla figlia.
I cattivi sono improvvisamente diventati buoni: Achille Lauro ha sostituito l’equivoca Rolls Royce con il frac, Tony Effe, il cattivissimo Tony Effe, che nelle sue canzoni svilisce e offende senza vergogna le donne, si copre addirittura i tatuaggi per passare da bravo ragazzo. Marco Masini e Fedez si autocensurano sui versi più scottanti di Bella stronza. Già che ci siamo, arriva anche il teatro patologico. È insomma un maroso di amabili sentimenti che travolge – travolge no, troppo violento – diciamo ammorbidisce, addolcisce, mitiga, ammansisce, infiacchisce, ammolla (ho finito i sinonimi) qualsiasi soprassalto di indignazione.
Nel mondo là fuori c’è l’Ucraina, Gaza, il fine vita, ma a Sanremo si erige una barriera elastica che si oppone e respinge la realtà. Qui, dentro l’Ariston, regna solo una diafana, evanescente, celestiale (ho finito gli aggettivi) atmosfera di ecumenica cordialità, con qualche piccolo frammento omeopatico di misurata canzonatura (Benigni e Geppi Cucciari). Qui siamo al Festival di Sanremo, accidenti, qui si canta e basta. Non disturbate il conduttore.