Sanremo (Imperia), 19 gennaio 2018 - Almeno Lucio. “Almeno pensami”, l’inedito scritto da Dalla che Ron fa rivivere nudo, è stata la prima forte scossa negli ascolti delle venti canzoni di Sanremo 2018, ieri in anteprima. Un Lucio d’annata, inno delicato all’amore che arriva dalla tradizione popolare e napoletana: "Se fossi un piccione che dai tetti vola giù fino al tuo cuore. Senza pensarci pensami". Sarebbe un ottimo vincitore del festival. Claudio Baglioni ha detto di aver dato spazio solo a interpreti credibili, di trovare un fil rouge nella lettura, anche personale, di tempi difficili. Libertà, parole e tanta musica, la farà anche lui con gli ospiti sul palco. Poi c’è il trenino degli altri diciannove brani in gara al Festival, al via il 6 febbraio.
Scopriamo nei testi un’ansia del futuro e del presente dove il personale è (economico) politico e il politico sentimentale. C’è un’ombra che dal quotidiano arriva alla precarietà dei rapporti, ritorna spesso l’idea che niente, anche l’amore, è per sempre, il bisogno di tenerezza. L’idea comunque di uno sconforto costruttivo. Iniziamo dalle piccole delusioni, quindi partiamo dall’impegno: è difficile affrontare certi temi, non ti offrono una via di mezzo, ci riesci o no. Da Enzo Avitabile e Peppe Servillo (nel testo Pacifico) mi aspettavo di più: “Il coraggio di ogni giorno” s’inchina solo alla preghiera di «lauda lo mare e tienete a terra, luce fa juorno ’e sera» davanti a Scampia. Un’interessante incompiuta. Di Ermal Meta e Fabrizio Moro e della loro con “Non mi avete fatto niente” tengo il pensiero positivo contro il terrore e «le vostre inutili guerre», ma non è un inno per la pace, solo uno slogan. Condivisibile.
I peggiori? Lo Stato Sociale: elenco del telefono di categorie, quotidiane e politiche, da rottamare. Perché lo fai, perché non te ne vai? Rispedito al mittente. “Una vita in vacanza” non è politica, non è ironica, canta il nulla in cui nuotiamo (infelici). Adoro The Kolors ma “Frida” è incomprensibile, lontanissima dai lavori della band. I Pooh restano Pooh, Facchinetti e Fogli (“Il segreto del tempo”) senza deragliare di una virgola, Red Canzian (“Ognuno ha il suo racconto”) al galoppo. Senza voto. Caso Decibel: “Lettera dal Duca”, omaggio di Ruggeri a David Bowie è nello stile del primo Enrico con qualche bagliore scuro. Senza lampi di genio. Caso Elio e le Storie Tese: li amo ma “Arrivedorci”, alla Stanlio e Ollio, è una fine drastica a una musica bella che non fa ridere. Un necrologio in forma di canzone.
Si risale con l’autobiografia di Francesco Sarcina in “Così sbagliato” de Le Vibrazioni, autoritratto sincero e sgangherato. Mi è piaciuto. E Noemi? No. “Non smettere mai di cercarmi” ha uno sviluppo orizzontale come una tappa per velocisti del Giro, ma pedala pianissimo. Renzo Rubino canta nel suo teatro melò un testo di Giuliano Sangiorgi senza trovare leggerezza e misurai, “Custodire” l’affetto nell’insolenza è un’intuizione dolorosa e reale. Non basta. Mi ha sorpreso in positivo Annalisa con “Il mondo prima di te”. Per “Adesso” mi è piaciuta la scrittura di Diodato, ma Roy Paci dov’è? Non lapiderò “Senza appartenere” di Nina Zilli. Difendo “Rivederti” di Mario Biondi, fra Bruno Martino e gli anni Capitol di Nelson Riddle, l’arrangiamento sofisticato, il timbro mai abusato. Ornella Vanoni ha il taglio giusto per Sanremo con “Imparare ad amarsi”, Bungaro e Pacifico. Dolce saggezza. RICONOSCO l’eleganza di Giovanni Caccamo in “Eterno”, ammiro la scrittura dei fratelli Gazzè in una favola mitologica di Vieste, “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno”. Delizia per pochi e tutta l’orchestra. È l’ora di “Passame er sale”, il ritorno di Luca Barbarossa.