Colonia, 14 ottobre 2018 - Una diciassettenne appassionata di Star Trek: "Non mi lasciava indifferente che sia il ponte di comando di Voyager sia la sala macchine fossero guidate da donne: una scienziata capitano e un’ingegnera-capo ribelle e brillante...". Che la passione per serie tv confidata nel suo libro sia stata fonte d’ispirazione per il suo lavoro? Forse. Certo Samantha Cristoforetti ancora non sapeva che quel trasporto per missili e stazioni spaziali, da film di fantascienza sarebbe diventato realtà. "Un sogno che coltivavo fin da bambina – sorride dal suo ufficio di Colonia, AstroSamantha – . Ha giocato un ruolo importante il fatto di essere cresciuta in un paesino di montagna, dove il cielo stellato di notte era una meraviglia e dove le esplorazioni erano a portata di mano, e poi fin da piccola ho amato i libri di avventura".
Per riuscire, le ci sono voluti anni di dedizione assoluta, tanto studio, una giovinezza trascorsa con le valigie in mano fra tre continenti, stanze ammobiliate, attese, lingue diverse, incontri, gioie e delusioni. Impegno e costanza per imparare a essere quello che è oggi: "Astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e capitano dell’Aeronautica Militare", dice senza ombra di superbia la prima donna italiana ad aver varcato i confini del pianeta Terra. Quale sia la strada che l’ha condotta dalle valli del Trentino alla rampa di lancio, fino ai fatidici 199 giorni trascorsi in orbita attorno alla Terra sulla Stazione Spaziale Internazionale vissuti via Tweet da noi terrestri, ce lo racconta nel suo nuovo libro Diario di un’apprendista astronauta, edito da La nave di Teseo, di cui devolve ogni provento d’autore a Unicef Italia.
Tre anni di lavoro: se lo immaginava? "No (ride, ndr.), l’avessi saputo prima forse non mi sarei buttata in una tale impresa. Ma ora c’è e sono felice".
Il tour promozionale l’ha momentaneamente sottratta al progetto della stazione spaziale intorno alla Luna a cui sta lavorando al Centro Europeo degli Astronauti (EAC) di Colonia. La prossima missione? "Spero al più presto, ma sono realistica: dovrò aspettare il mio turno e potrebbe arrivare soltanto verso il 2022-2023. Nel corso della sua carriera un astronauta riesce a compiere due, quando è fortunato tre, missioni spaziali, difficilmente di più. Nell’attesa non faccio molto addestramento, non lo considererei produttivo. Dal rientro sulla Terra nel giugno 2015 ho avuto tempo per recuperare, interessarmi ad altri progetti professionali e avere una figlia".
Di cosa si occupa in Germania? "Seguo come rappresentante della comunità astronauti europea un progetto che riguarda una stazione spaziale modulare in orbita attorno alla Luna, chiamata Lunar orbital platform-gateway. Più piccola e semplice rispetto a quella in cui sono stata, ma mille volte più lontana. Dovremmo lanciare il primo modulo intorno al 2022 e completare l’opera nel 2026".
La meta della prossima missione? "La destinazione più realistica rimane la Stazione Spaziale Internazionale, presumibilmente nella prima metà del prossimo decennio. Poi ci sarà una nuova selezione di astronauti, immagino (ce n’è una ogni 10, 15 anni): noi siamo qui dal 2009".
E la passeggiata spaziale? "Nel 2014 la delusione è stata grande: ci avevo lavorato con tantissimo addestramento. Al di là dell’aspetto emotivo di trovarti nella situazione che immagini fin da piccolissima, più ti impegni per un risultato più lo vuoi ottenere, di solito. In questo caso, invece, non ne ho avuto la possibilità. La nota positiva è che, se tutto andrà come deve, renderà unica anche la seconda missione".
Nel 2019 sarà la volta del suo collega Luca Parmitano, mentre lei dovrebbe essere la prossima dall’Italia: come cambierà le cose il fatto di essere madre? "Quando sono partita quattro anni fa avevo un compagno, i genitori che mi aspettavano, tanti amici. Ora c’è anche una bambina, e questo comporta una minor leggerezza e un maggior senso di responsabilità. Allo stesso tempo penso che sarà una bella avventura anche per lei".
Le spiegherà quanto sia stato faticoso diventare AstroSamantha? "Certo, sarà consapevole che per riuscire bisogna lavorare tanto. Impegno, studio, volontà, dedizione. E pazienza. Le ‘prove’ che mi sono pesate di più sono proprio le attese. Poi ci vuole anche fortuna".
Fortuna, Samantha? "Certamente! Prima di tutto la fortuna di nascere in un corpo sano, che ti consenta di fare l’astronauta. La selezione medica è severa: nel libro racconto per esempio di Regina, una collega candidata che non sapeva (e forse non avrebbe mai saputo senza tutti gli esami ai quali venne sottoposta), di avere una patologia che l’ha fatta escludere dalla selezione".
È anche il carattere a fare la differenza. Quanto le è pesato spostarsi continuamente? "In realtà non molto: in ogni luogo in cui sono stata ho imparato cose, conosciuto qualcuno che valesse la trasferta. Ho vissuto gli anni da studente e poi da ‘apprendista’ astronauta come un arricchimento: non una casa, ma tante case. Non una vita, ma tante vite parallele".
Lei ha avuto il coraggio di raccontare le difficoltà: fanno parte del percorso? "Quando si è giovani è necessario farsi le ossa. Rischiare di cadere e di farsi male ogni tanto è l’unico modo per formare il carattere e cercare di sviluppare quella grinta, quella forza di volontà, quella determinazione che servono per qualsiasi professione impegnativa. Compresa quella dell’astronauta".