Papini
Che cos’è il genio? "È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione": è la risposta in una delle frasi più famose della trilogia di Amici miei. A questa domanda, però, si può anche rispondere con una parola sola, anzi con un cognome: Jacovitti. Già, perché Benito Franco Giuseppe Jacovitti, nato a Termoli il 9 marzo del 1923, è davvero "un genio compreso" secondo la brillante definizione di Dino Aloi, che del fumettista molisano è uno dei massimi esperti oltre che curatore di una delle mostre che fanno parte di Jacovittissimevolmente, l’iniziativa che celebra i cento anni dalla nascita di Jac. Due mostre che racconteranno l’arte di Jacovitti e la sua geniale e straripante creatività, anche se ci vorrebbero cento mostre per parlare in modo completo di un autore così. Sono comunque da non perdere l’esposizione Tutte le follie di Jac! (al Macte di Termoli da oggi al 26 febbraio 2024, curata da Luca Raffaelli) e L’incontenibile arte dell’umorismo (al Maxxi di Roma dal 24 ottobre al 18 febbraio, a cura di Dino Aloi, Silvia Jacovitti, con Giulia Ferracci).
Senza dubbio Jacovitti è un punto di riferimento per il fumetto e la cultura popolare del Novecento. Il suo esordio avviene giovanissimo, preceduto da quei primi disegni che da ragazzino realizza utilizzando le pietre bianche di Termoli come tavole sulle quali riversare la sua fantasia. Certo non c’erano ancora salami e lische di pesce (“personaggi” surreali dell’universo jacovittiano) ma le indagini dell’arcipoliziotto Cip, i cocktail alla camomilla di Cocco Bill, le avventure dei “3P” (Pippo, Palla e Pertica) in un certo senso affondano le loro origini proprio su quelle pietre.
Da Termoli Jac si trasferisce a Macerata e in questo periodo scopre i comics, autori come Raymond, Davis, Moore. E poi gli albi Disney, i fumetti umoristici di Faccini, le strisce di Al Capp, Segar e Walt Kelly. A 15 anni, il trasferimento a Firenze che per Jacovitti segnerà la svolta personale e professionale. Nel 1939 fa il suo esordio collaborando con Il Brivido, dell’editore Nerbini, con alcune vignette umoristiche. Il fumetto vero e proprio arriva poco dopo: 1940. Il 5 ottobre Jac inizia a pubblicare su Il Vittorioso la storia Pippo e gli inglesi, ingenuo soggetto di propaganda bellica. Parte da qui una straordinaria carriera che lo porterà a lavorare per testate prestigiose, sempre riempiendo ogni tavola con una miriade di personaggi, spesso astrusi eppure perfettamente inseriti nella logica narrativa tutta personale di Jacovitti.
Sterminato l’elenco dei personaggi creati dal genio di Jacovitti: da Zagar (erede di Macchia Nera) a Giacinto corsaro dipinto, da Mandrago (parodia di Mandrake) a Battista ingenuo fascista e via dicendo. Una citazione a parte la merita il cow boy Cocco Bill, per certi versi un anticipatore del western comico all’italiana. Cocco Bill nasce nel 1957 sul supplemento Il Giorno dei ragazzi. Nel 1964 arriva la prima, edizione pubblicata da Ave, del Pinocchio illustrato da Jacovitti, considerato il suo capolavoro. È un artista senza confini: prende in giro comunisti e fascisti (che non apprezzano il suo "eia, eia, baccalà"), sa disegnare per qualsiasi situazione. Spazia dal Vittorioso, di ispirazione cattolica, ai capolavori erotici del KamasuLtra con la collaborazione del genio comico di Marcello Marchesi, passando per le riviste umoristiche del periodo (come Il Travaso), poi la lunga collaborazione sull’inserto per ragazzi del quotidiano Il Giorno, per arrivare al Diario Vitt che per trent’anni accompagna gli studenti. Ingiustamente perseguitato dall’accusa di essere fascista (il nome non aiutava certo, in questo senso) ama definirsi "un estremista di centro". La sua libertà creativa lo porta a realizzare i manifesti per i Comitati civici di Gedda nel 1948 e per la Dc nel 1975, ma anche per la campagna divorzista del Partito radicale di Marco Pannella.
Parlando del trasferimento a Firenze abbiamo accennato alla svolta professionale di Jac, ma assai più importante è quella personale: qui conosce nel 1944 l’affascinante Floriana Lojodice, detta Lilli, corteggiata con 1550 lettere d’amore (una lunga otto metri) in cinque anni. Nasce un grande amore, con Jac che regala ogni settimana una rosa alla moglie. Un amore destinato a durare fino alla fine, una storia di altri tempi, "una coppia alla Peynet" come commenta la figlia Silvia quando, il 3 dicembre 1997, poche ore dopo la morte di Jac anche Lilli si spegne. Neanche la morte ha potuto spezzare questo grande amore.