Roma, 13 dicembre 2024 – E perché no? L’idea del Maggio musicale fiorentino di commissionare un’opera tratta da Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, librettizzata da sé medesimo e musicata da Nicola Piovani, sembra promettente. Si tratta di uno dei libri italiani di maggior successo degli ultimi vent’anni (2002, per la precisione) e ha già funzionato come film e come serie televisiva. Esattamente, sia pure su tutt’altro registro, come Il nome della rosa di Umberto Eco, la cui versione lirica realizzata da Francesco Filidei debutterà alla Scala nella prossima stagione.
Del resto, sono rare le opere su soggetti originali. Il teatro musicale è sempre stato un aspiratutto, che arraffava storie di successo e le trasformava in opere di successo ancora maggiore con una prontezza stupefacente, specie nell’epoca ante Internet. Norma, ou L’infanticide debuttò a Parigi il 6 aprile 1831; il 26 dicembre seguente, alla Scala, era già un’opera. Il capolavoro di Bellini è tuttora in cartellone in tutto il mondo, la tragediona coturnata di Louis-Alexandre Soumet è sparita, e se qualcuno ancora la legge è soltanto per vedere come Felice Romani l’ha trasformata in libretto (benissimo, per inciso).
Il Libanese, il Freddo, il Dandi e gli altri malfattori del magistrato scrittore De Cataldo passeranno dai bassifondi alle scene presunte nobili dell’opera. Del resto, è da un secolo abbondante che lì sopra non cantano più soltanto dei ed eroi. In Rigoletto, soggetto secondo il censore austriaco “di ributtante immoralità e oscena trivialità” (la citazione è dedicata alle care salme che all’opera chiedono soprattutto di essere “elegante”; beh, Verdi non era d’accordo) malfanno invece prostitute e sicari. In Tosca si incontrano e scontrano uno sbirro sadico, un pericoloso sovversivo e una cantatrice, categoria considerata, quanto meno, di dubbia moralità, e guarda caso nella stessa capitale corrotta con conseguente Nazione infetta di Romanzo criminale. I Pagliacci furono ispirati a Leoncavallo da un vero omicidio per corna, giudicato dal padre magistrato. E poi di tutti i nostri scrittori, De Cataldo è uno dei pochissimi contagiati dal bacillo della melodrammania. Tanto che, nella sua ultima serie di gialli, il protagonista Manrico Spinori risolve casi ispirati a trame operistiche.
Il problema, semmai, è la consolidata prevenzione del pubblico, specie quello italiano, per la musica contemporanea. Sembra che il primo requisito per un operista di successo sia quello di essere morto. Siamo però in un’epoca in cui l’avanguardia non è più un dogma, ed esistono perfino dei compositori che si sono resi conto che ha poco senso scrivere musica che nessuno abbia voglia di ascoltare. Scegliere dei soggetti noti, certo, aiuta. E poi, naturalmente, bisogna lavorare sulla promozione. Ero a New York quando, nel ‘16, si diede la prima locale di The Exterminating Angel di Thomas Adès, probabilmente il maggior operista di oggi. L’opera è tratta dal film di Buñuel dove, se ricordate, nel salotto altoborghese dove si svolge la (non) vicenda continua a passare un gregge di pecore, senza che ci venga minimamente spiegato perché. Il genio del marketing del Met coprì l’intera facciata del teatro, che non è piccola, con la foto di una pecora così gigantesca che quasi la si sentiva belare. Chiunque passasse dal Lincoln Center ovviamente s’incuriosiva, i giornali ne parlavano, le tivù idem, i social pure e insomma il richiamo ovino fu così forte che la prima fu sold out.
Nel caso del Maggio si può contare sul sovrintendente, Carlo Fuortes, che quando era all’Opera di Roma osò inaugurare una delle sue prime stagioni con Le Bassaridi di Henze, e per un pubblico che, prima della sua cura, aveva la stessa curiosità intellettuale di un abbacchio, e fu un clamoroso successo. I bravi dirigenti teatrali non danno al pubblico quel che il pubblico vuole, ma quello che non sa di volere.