Il suo viso non si vede mai. E nemmeno quello dell’attore, Jonno Davies, che interpreta lui da ragazzo e poi da adulto. Perché Better Man (dal 1° gennaio nei cinema), regia di Michael Gracey, racconta vita, strabiliante successo, prima con la boy band dei Take That e poi da solo, caduta rovinosa causa alcol e droghe e rinascita di Robbie Williams, ma mostrandolo sempre sotto le sembianze di una scimmia. Con l’interpretazione di Davies corretta con una particolare forma di computer grafica, la CGI, così da farlo apparire come uno scimpanzé. Un essere con l’ossessione della fama, che non è mai abbastanza e non è mai sufficiente, anche di fronte a migliaia di spettatori in delirio, a non farlo sentire quell’animale peloso. Il tutto raccontato in uno sgargiante musical.
Dopo avere partecipato giovedì sera alla finale di X Factor a Napoli, ieri Robbie Williams è arrivato a Roma per presentare il film ed esibirsi in serata all’Auditorium Parco Della Musica.
Williams, perché farla apparire sempre come una scimmia, alla quale dà voce e sguardo?
"Perché il mondo mi veda come io mi vedo. E Rob si vede come una scimmia. E c’è anche un’altra ragione. Ci sono talmente tanti biopic in giro che ormai hanno un po’ stancato. Tra l’altro sono anche biografie ripulite, risistemate. La nostra non lo è".
Sempre assolutamente sincero?
"Per me non è un problema spiegare chi sono e farlo con la massima sincerità e autenticità. Michael ha avuto la fortuna di avere a che fare con una figura pubblica disposta a condividere fino all’eccesso sia le parti positive sia le parti negative che lo riguardano. E se, almeno finora, le reazioni sono state positive, penso che dipenda proprio dal fatto che le persone avvertono questa autenticità che c’è nel film: un’autenticità di cui siamo tutti alla disperata ricerca e che non ci viene data dai media come vorremmo".
Parlare delle sue cadute e della sua rinascita è anche un modo per aiutare chi è in difficoltà?
"Non ho fatto questo film per altruismo. Sono una persona che, per professione, cerca attenzione. Dove non mi si dà attenzione, non esisto. Quindi, l’ho fatto per attirare l’attenzione su di me. Così come quando ho fatto il documentario sulla mia vita per Netflix. Mi fa piacere se il mio lato narcisistico produce risultati positivi, ma è un effetto collaterale. Ho fatto il film perché serve alla mia carriera".
Che ricordi ha della sua partecipazione al Festival di Sanremo del 1994 con i Take That?
"Nel backstage c’era una gran casino, come del resto l’altra sera a Napoli. A differenza di quanto accade in Inghilterra, dove si svolge tutto in maniera precisa e ordinata, qui in Italia dietro le quinte succede di tutto ma poi guardi sul teleschermo e fila tutto alla meraviglia. E c’è un’accoglienza talmente calorosa, che non puoi non innamorarti dell’Italia. Mi piacerebbe tornare al Festival, essere invitato. Ma di quel Sanremo ricordo ben poco: ero talmente strafatto".
Ora appare in perfetta forma. Superati tutti i problemi di dipendenza?
"Anche se oggi sto bene, sono una personalità portata a sviluppare dipendenze. E in particolare il corpo è sempre stato per me fonte di malattia mentale, a causa del peso. Da quando ero un undicenne cicciottello, ho sviluppato una nevrosi che continua. Aldilà dei video musicali e delle performance, e anche se oggi sono maledettamente sexy, il problema del corpo persiste. Sono stato dipendente da droga, alcol, sesso, cibo. Ho chiuso con droga e alcol e anche col sesso siamo lì, il problema rimane il cibo. Sono consapevole, insomma, che il corpo può essere ancora causa di grande vergogna e di grande dolore".