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Il cast di Quelli della notte
Roma, 29 aprile 2020 - Ci sono trasmissioni che hanno cambiato il corso della tv italiana. Una fu Portobello dalla quale, possiamo dirlo, è nata gran parte della tv di oggi. Un’altra, altrettanto clamorosa, fu Quelli della notte che esplose la sera del 29 aprile 1985 i cui frammenti incandescenti sono arrivati fino a noi. Quelli della notte sovvertì il consolidato panorama televisivo delineato fino ad allora perché si trattava del primo programma in gran parte improvvisato.
Trasmissioni lusinghiere come Studio Uno o Un due tre avevano un piglio comico anche sfrontato ed elegante, ma tutto veniva puntigliosamente scritto prima di andare in onda. Quelli della notte no, Quelli della notte fu una jam session umoristica che stravolse ed entusiasmò il pubblico italiano. Renzo Arbore era miracolosamente riuscito a trasporre in tv il clima goliardico e spensierato già sperimentato con successo alla radio con Alto gradimento.
La trasposizione non era per nulla scontata, ma Arbore ce la fece grazie alla sua maestria di talent scout. Riuscì a mettere insieme un gruppo di irresistibili sconosciuti la cui memoria vive ancora tra coloro che ebbero la fortuna di vederli all’opera. Il primo da citare è ovviamente Nino Frassica, che debuttò sotto i panni di fra’ Antonino da Scasazza, inarrivabile narratore di “nanetti” tanto bislacchi quanto spassosi, sapientemente costruiti tra calembour grotteschi («il conte penso di Cavour») e nonsense di sapore inglese.
C’era Maurizio Ferrini, comunista romagnolo tutto d’un pezzo, rappresentante di pedalò e rivelatore di fantomatici silos, che discettava di onirici complotti, i cui interventi immancabilmente terminavano con una dimessa considerazione: "Non capisco ma mi adeguo" (anche questa entrata nel fraseggio popolare). Riccardo Pazzaglia avrebbe dovuto essere il centro ponderato e colto del salotto di casa Arbore, ma veniva coinvolto suo malgrado in discussioni futili e sventate. Del personaggio restano memorabili due locuzioni: «il brodo primordiale» dal quale sarebbe nata ogni cosa, e "separati in casa", inventata in quel contesto e diventata di uso comune.
C’era Andy Luotto prima nei panni dell’arabo Harmand, panni poi dismessi a causa delle proteste (e delle minacce) mediorientali, poi di un improbabile italo-americano. C’era un Roberto D’Agostino agli esordi, nelle vesti di lookologo, che lanciò il il tormentone dell’Insostenibile leggerezza dell’essere e dell’edonismo reaganiano. Né si può dimenticare Massimo Catalano, vivace reincarnazione di Monsieur de Lapalisse, le cui definitive sentenze erano del tipo: "Meglio essere ricchi e in salute che poveri e malati".
Questa era la banda di Arbore, il brodo primordiale da cui, poco dopo le undici di sera, nasceva ogni volta un miracoloso concerto di battute, lazzi, cazzeggi, parodie, che prendevano di mira tic e pregiudizi, trasmissioni sciocche e atteggiamenti banali. Trentacinque anni fa Quelli della notte spinse in là il confine dello spettacolo televisivo: la gente resisteva nelle ore tarde o, se era fuori, si precipitava a casa per assistere a uno show come non ce n’erano mai stati (e come, in seguito, si sarebbero rivisti con Indietro tutta!). Arbore costruiva ogni sera un piccolo gioiello di meccanica umoristica la cui follia congenita miracolosamente si traduceva in una perfetta orchestrazione, la sigla di apertura era Ma la notte no, quella di chiusura Il materasso. Durò solo trentatré puntate ma è come se non fosse mai terminata.