I topi come gli uomini: anche i ratti mostrano quella forma di empatia che li spinge
a evitare di causare dolore ai propri simili, connaturata in gran parte degli esseri umani. Si tratta tuttavia di un meccanismo del comportamento su cui si sa ancora poco, e che un recente esperimento sui ratti potrebbe aiutare a chiarire. Pubblicato
su Current Biology, è stato condotto da un team di neuroscienziati del Netherlands Institute for Neuroscience.
Dolcetto o dolore?
Nel corso dell'esperimento, 24 ratti
sono stati abituati a premere due leve, ciascuna delle quali rilasciava indifferentemente una pallina di zucchero. Quando un topo aveva sviluppato una preferenza specifica per una delle due leve, questa veniva modificata in modo che, premendola, veniva applicata
una piccola (e innocua) scossa elettrica alle zampe di un ratto posizionato vicino.
Sentendo gli squittii di fastidio del vicino, sia che si trattasse di un esemplare con cui avevano familiarità sia che fosse uno sconosciuto, gran parte dei ratti
smettevano di premere la leva che causava la scossa e passavano all'altra. Con percentuale minore, la stessa cosa accadeva anche quando la leva "elettrica" rilasciava due palline di zucchero contro una sola pallina dell'altra leva, mentre quando il premio era di tre palline i ratti
smettevano di preoccuparsi del vicino.
Perché condividiamo questo comportamento con i topi
Negli uomini il meccanismo dell'empatia verso le sofferenze degli altri è ricondotto alla corteccia cingolata anteriore. Per capire se nei ratti è lo stesso, i ricercatori hanno condotto un altro esperimento
riducendo nei topi l'attività di quella stessa parte della corteccia cerebrale, grazie a un'anestesia mirata: in questo caso i ratti continuavano a premere la leva che causava dolore ai vicini.
"Che gli esseri umani e i ratti
utilizzino la stessa regione del cervello per evitare di causare dolore agli altri è straordinario",
ha commentato Valeria Gazzola, una delle autrici dello studio; "Questo indica che la motivazione morale che ci frena dal fare del male ai nostri simili
ha un'antichissima origine evolutiva, profondamente radicata nella biologia del nostro cervello e condivisa da altri animali".
Ma è vero altruismo?
Secondo i ricercatori, alla stato attuale è difficile stabilirlo con certezza: i ratti potrebbero farlo per questo motivo,
oppure per la ragione più egoistica di evitare di sentire gli squittii di dolore degli altri. Ma lo stesso si può dire anche dei comportamenti empatici degli esserei umani.
"Quale che sia il motivo", conclude il professor Christian Keysers, "è eccitante constatare il fatto che condividiamo con i ratti
un meccanismo che previene comportamenti antisociali. Adesso possiamo utilizzare i potenti strumenti delle neuroscienze per capire come aumentare l'avversione a causare dolore agli altri nei pazienti affetti da disturbo antisociale di personalità".