Roma, 14 dsicembre 2024 – Novanta... “Eh, novant’anni sono una cifra che sorprende anche me – confessa Raina Kabaivanska –. Il tempo passa, ma è bello vederlo passare continuando a lavorare. E se si lavora cantando, è ancora più bello”. Soprano dalla straordinaria carriera, vera primadonna, un repertorio immenso che ha spaziato da Spontini a Britten, 400 volte Tosca e altrettante Butterfly, Raina Kabaivanska (bulgara di origini ma modenese di lunga adozione) festeggerà domani 90 splendide primavere. E al teatro Comunale di Modena verrà celebrata in un galà con alcuni dei bravissimi allievi della masterclass che tiene già da vent’anni al Conservatorio Vecchi Tonelli: ospiti d’onore le sue ‘pupille’, il soprano Vittoria Yeo e il mezzosoprano Veronica Simeoni.
Signora Kabaivanska, ogni giorno lei è attorniata da tanti giovani.
“In loro rivedo la mia passione, la gioia del canto. E a loro cerco di dare una formazione totale: oggi ai cantanti sono richieste la voce, la preparazione, ma anche la presenza scenica”.
È vero che a lei avevano predetto una carriera come quella che ha avuto?
“Ho un ricordo vivissimo di un giorno in Bulgaria. Avevo 5 o 6 anni e stavo andando a spasso con il mio papà. Mi fermò una zingara che volle leggermi la mano e mi disse ‘Ti vedo con una corona sul capo, e con abiti lunghi, meravigliosi...’ Allora non capii queste parole. Nel tempo, le ho ritrovate nei tanti personaggi che ho interpretato”.
Lei è nata nella Bulgaria comunista. E arrivò in Italia con una borsa di studio.
“Dopo aver rifiutato di andare al Bolshoi. Io volevo venire in Italia ma non fu semplice, perché non mi volevano lasciar partire per un Paese fuori dall’area comunista”.
I suoi genitori assecondarono il suo desiderio di dedicarsi alla musica?
“Sì, sono stata molto fortunata, non mi hanno mai osteggiato. Mio padre era medico veterinario a Burgas, sul Mar Nero, un uomo ricco di fantasia, generoso: purtroppo è venuto a mancare ancora giovane. Mia madre, insegnante di fisica, era una donna severa e ogni tanto faceva volare qualche sberla educativa: non finirò mai di ringraziarla”.
Perché la chiamarono Raina?
“Era il nome della nonna e, come tradizione, lo diedero anche a me. ‘Rai’, in bulgaro, significa paradiso”.
Cantare è un po’ come sentirsi in paradiso?
“Sì, davvero, perché cantando si dimentica la vita di tutti i giorni, si entra in un mondo di illusioni, di amori eterni. E anche, certo, di dolori eterni però nobilitati dalla musica. Nell’opera ci sono amori, tradimenti, anche morti. Non ricordo nemmeno quante opere ho finito con un coltello in mano: o ammazzavo qualcuno come in ‘Tosca’, o ammazzavo me stessa, come in ‘Butterfly’... (ride, ndr). Solo una volta ho detto no a un regista che voleva che mi buttassi giù dal palco, per finire sull’orchestra”.
Il palcoscenico era come casa sua.
“Mi sono trovata a mio agio in ogni situazione perché ho sempre cercato di essere interprete del personaggio e fare emergere i sentimenti. A volte mi sentivo quasi sdoppiata, come se Raina fosse in fondo alla platea a guardare la Raina in scena”.
Il suo compositore prediletto?
“Certamente a Puccini ho dedicato tanti anni e tanto lavoro, ma ho cantato anche dieci opere di Verdi, poi Donizetti, Bellini, Cilea, Giordano. E Zandonai con la ‘Francesca da Rimini’ che mi ha fatto conoscere mio marito (il regista modenese Franco Guandalini, ndr). Sono sempre stata curiosa di esplorare anche territori nuovi e ho sempre trovato teatri che hanno esaudito i miei desideri: volevo fare il ‘Capriccio’ di Strauss e Fedele D’Amico lo tradusse per me”.
E il suo direttore del cuore?
“Herbert Von Karajan. Lui dava il primo tocco di bacchetta poi incrociava le mani dietro alla schiena, chiudeva gli occhi e mi lasciava andare da sola. Ho anche discusso con lui però quando penso che l’ho tenuto fra le braccia, mi vengono ancora i brividi. Poi i registi, Luca Ronconi, un genio, e Mauro Bolognini, grandissimo. E praticamente tutti i tenori: con Lucianone Pavarotti eravamo grandi amici”.
Com’è l’opera oggi?
“Vado spesso ad assistere agli spettacoli in cui cantano i miei allievi. A volte, però, non ci trovo più il mio mondo: si trasportano le opere in altre epoche, si interviene sulle partiture. Ma come è possibile correggere Verdi o Puccini? Occorre fedeltà a quanto scritto dal compositore. Invece a volte si rincorrono le stramberie”.
E le voci di oggi le piacciono?
“Mah... Ci sono voci belle, quasi perfette, però non mi lasciano granché. Quando vado a teatro, accetto anche un’imperfezione ma chiedo emozione. Il canto non è solo gola. È anche anima”.