di Andrea
Cionci
Nel 1917, per sbloccare lo stallo della guerra di trincea e superare il sistema infernale reticolati-
mitragliatrici, i britannici inventarono i Mark IV, primi carri armati detti “tank”. Seguirono i francesi con il Renault FT 17 e i tedeschi con l’A7V. Anche l’Italia produsse il suo prototipo, il Fiat 2000, disegnato dagli ingegneri Giulio Cesare Cappa e Carlo Cavalli. Per l’epoca era un gioiello tecnologico: 36 tonnellate di acciaio sviluppate in sette metri di lunghezza e quattro di altezza; sette mitragliatrici Fiat 14 e un cannone da 65 mm posto per la prima volta nella storia in una torretta girevole e apicale. I suoi alti cingoli da territorio montano, gli consentivano di superare ostacoli con dislivelli impensabili per l’epoca. Le blindature laterali, dello spessore di 2 cm, proteggevano dal fuoco delle armi leggere l’equipaggio, il cui vano, per la prima volta, era stato separato dal vano motore. Una novità non da poco, questa, dato che, tra i più drammatici inconvenienti dei primi carri inglesi, vi era il soffocamento cui era sottoposto il personale, a causa del surriscaldamento del motore e dei suoi fumi che non venivano espulsi tramite tubi di scappamento.
Di Fiat 2000 furono prodotti solo due esemplari perché, con il trionfo di Vittorio Veneto, il 4 novembre 1918, l’Italia vinse la Grande Guerra per tutta l’Intesa, facendola terminare un anno prima rispetto alle previsioni. Infatti, appena una settimana dopo, il Kaiser, temendo un’invasione italiana dalla Baviera, depose le armi. Durante una dimostrazione del 2 aprile 1919, il carro Fiat fu capace di scalare un muro con terrapieno alto un metro e 10, poi sgretolò un muro di mattoni di 3,50 m, spesso 60 cm, fu in grado di abbattere alberi di diverse dimensioni e, infine, di travolgere vari ordini di reticolato. Dei due prototipi, solo uno ebbe il battesimo del fuoco, nel 1919 in Libia, dove ebbe ragione – con la sua sola deterrenza – dei ribelli arabi nella zona di Misurata. Poi rimase lì, abbandonato fra le sabbie africane. Il secondo carro, invece, era rimasto in Patria e nel ‘36 troneggiava ancora, come monumento, in una caserma di Bologna. Poi sparì: nel dopoguerra affamato di metallo, probabilmente, finì in fonderia. Come un mammuth clonato da una cellula di Dna, il pachiderma d’acciaio è tornato ora a vivere, riprodotto ex nihilo in peso e dimensioni reali: si muove sbuffando, lento, ma inesorabile, come allora, e ha raggiunto Milano su un trasporto speciale, (grazie a IVECO DefenceVehicle), per essere presentato al pubblico, oggi e domani presso il Parco Esposizioni Novegro, in occasione del 70° dell’Associazione Nazionale Carristi d’Italia (A.N.C.I.), durante la mostra Militalia sul collezionismo militare.
È il risultato di un’incredibile impresa, da primato mondiale, condotta grazie alla passione e alla volontà di un gruppo di soci dell’A.N.C.I. e di restauratori di veicoli militari d’epoca del “Raggruppamento Spa”. Vista la carenza di disegni originali, il progettista Mario Italiani, ha ricostruito virtualmente il carro con un programma di modellazione in 3D. Dopo 1500 ore di lavoro il progetto è pronto. A realizzare materialmente il carro, l’industriale vicentino Giancarlo Marin, titolare di un’industria medio-pesante, la Svecom PE S.r.l. e fondatore del Museo delle Forze Armate 1914-1945 di Montecchio Maggiore (VI).