Giovedì 6 Febbraio 2025
MATTEO MASSI
Magazine

Quando Telecapodistria conquistò l’Italia

Nel 1971 l’emittente jugoslava aprì una nuova era: trasmissioni a colori, film tutti i giorni, cronache sportive. Poi arrivò la pay tv .

Nel 1971 l’emittente jugoslava aprì una nuova era: trasmissioni a colori, film tutti i giorni, cronache sportive. Poi arrivò la pay tv .

Nel 1971 l’emittente jugoslava aprì una nuova era: trasmissioni a colori, film tutti i giorni, cronache sportive. Poi arrivò la pay tv .

Una televisione di confine. Telecapodistria era così. E non solo perché trasmetteva in territorio sloveno per la minoranza linguistica italiana, ma anche perché anticipò i tempi: la trasformazione di quelli che sarebbero diventati poi i canali sportivi a pagamento, la pay tv. Ma andiamo con ordine. La nascita è nel 1971, da una costola di Radio Capodistria. Il primo bivio, quando ancora si devono decidere i destini della storia, è tecnico. Quale sistema per la codifica della trasmissione a colori va utilizzato? Il Secam (francese) o il Pal (tedesco). Mentre l’Italia discuteva strizzando l’occhio ai francesi, e soprattutto la Dc, con Emilio Colombo (1921-2013), era scettica se aprirsi al colore (gli italiani potevano permettersi un apparecchio nuovo?), Telecapodistria scelse il tedesco Pal (sistema tecnicamente più avanzato) e portò il segnale in Italia dal 6 maggio 1971.

Alcuni pionieri triestini, muniti di permesso, ogni giorno (anche per due volte) andavano dall’altra parte del confine per arricchire la programmazione della tv pensata per la minoranza linguistica degli italiani ed estendere l’emissione del segnale fino a tutto il Nord Italia. C’erano i cosiddetti ripetitoristi che avevano avuto l’occhio lungo, prima ancora che Berlusconi piombasse sul mercato a caccia di ripetitori e frequenze. E così dal monte Nanos il segnale riusciva ad arrivare anche in Veneto, Romagna e Marche. Nel frattempo, nell’avvicendarsi dei governi democristiani, alla presidenza del consiglio era arrivato Aldo Moro e agli Esteri c’era Mariano Rumor che nel 1975 a Osimo – a proposito di confini – firmò il trattato che definì una volta per tutte le terre italiane e quelle slave. Non senza polemiche, anche negli anni a venire.

Telecapodistria, a quel punto, era già una realtà affermata. Come racconta Sergio Tavčar, uno dei pionieri del canale televisivo, nel suo libro che s’intitola appunto Pionieri (Bottega errante editore). Lui era uno di quelli che si faceva ogni giorno Trieste-Capodistria, entrava nello studio e raccontava lo sport. La fortuna di Telecapodistria è che facendo parte della Jrt, la televisione di Stato jugoslava, seppure come sorella minore, aveva i diritti per trasmettere tutti i grandi eventi sportivi. Olimpiadi comprese. E su questo bastione costruirà la sua ascesa, che sfocerà quasi nel mito per chi all’epoca voleva vedersi tutto lo sport, ma che determinerà nel corso degli anni anche la sua inevitabile discesa e caduta verso lo sport a pagamento in tv, così come lo conosciamo ora.

Tavčar ci riporta a quegli anni, in cui la Jugoslavia non allineata di Tito veniva considerata come una minaccia (sempre meno pericolosa con lo spegnersi progressivo del maresciallo, che morirà nel 1980), ma anche come un’opportunità. Soprattutto per chi stava dall’altra parte del confine e aveva la possibilità di andare a fare shopping a prezzi decisamente più convenienti. Meno fortunati i telecronisti di Telecapodistria, come Tavčar, che venivano pagati in dinari e che dovevano di conseguenza cambiarli il prima possibile.

Fu una stagione indimenticabile anche per chi seguiva gli eventi sportivi dall’Italia. Una tv genuina, molti erano telecronisti improvvisati, anche se avevano dalla loro (come nel caso di Tavčar) più che la conoscenza del mezzo, la conoscenza dello sport che andavano a raccontare. Parallelamente Telecapodistria con la sua programmazione extrasportiva era riuscita anche a inserire nel suo palinsesto film che la Rai si sognava di passare. Così oltre a pellicole un po’ più disibinite, meno soggette in Jugoslavia a finire sotto tagli dettati dal moralismo, c’erano anche film d’autore. In quegli anni Telecapodistria riusciva a trasmettere un film a sera (in Rai era uno alla settimana) di autori come Elio Petri, Gianfranco Rosi e Pier Paolo Pasolini.

La fine dell’epoca pionieristica, però, era dietro l’angolo. Tavčar racconta nel libro che a un certo punto il caporedattore di allora ricevette una telefonata. Dall’altra parte c’era Silvio Berlusconi, che stava cercando di costruire il suo impero televisivo, e il caporedattore lo liquidò in un istante in maniera molto educata: "Desidera?" Ma negli anni ottanta il processo di cambiamento della tv, con l’emittenza privata, era ormai irreversibile. Lo spartiacque anche per Capodistria fu il Mundialito del 1981 che le reti di Berlusconi riuscirono a trasmettere, seppure in differita, togliendolo alla Rai. Capodistria non accusò il colpo lì, ma qualche anno dopo fu stretto un accordo con Publitalia. Fu rinforzata la redazione sportiva e Tavčar si ritrovò a fare le telecronache del basket con Dan Peterson. Ma il destino era ormai segnato. L’inizio della fine. E Tele+2, che diventò di fatto la prima pay tv, prese proprio le frequenze di Telecapodistria per trasmettere.