Se vivesse ai nostri tempi, Johann Strauss sarebbe un mito dello show business, soprattutto per la sua capacità di curare non solo la musica, ma anche la sua immagine e il suo management artistico, proprio come le stelle di oggi, Taylor Swift o Beyoncé. "È stato veramente la superstar della musica da ballo e da concerto", sottolinea Franz Pichorner, direttore del Theatermuseum di Vienna che celebra i 200 anni dalla nascita dell’autore del Bel Danubio blu con una ricca mostra interattiva (aperta fino al 23 giugno). Generosa di ‘perle’, come la partitura originale dell’operetta Il Pipistrello con le note del musicista e del suo librettista Richard Genée, l’esposizione illumina tutta la famiglia di ‘Schani’ Strauss (come veniva soprannominato), la sua scalata al successo e in parallelo la sua movimentata vita sentimentale.
Johann Strauss nacque nell’ottobre 1825: suo padre – che portava lo stesso nome – era compositore, oltre che conduttore e direttore di un’affermata orchestra da ballo, ma per il figlio maggiore sognava una carriera diversa, gli fece studiare contabilità e desiderava che diventasse bancario. Johann jr però voleva suonare, fare musica, e sua madre Anna segretamente appoggiava sia lui che i due fratelli, Josef ed Eduard. E quando nel 1844 Schani diresse per la prima volta un’orchestra al Dommayer’s Casino (e i critici scrissero "Buonasera Strauss - padre, Buongiorno Strauss - figlio!"), il conflitto con il genitore finì per deflagrare. Tuttavia il giovane Strauss continuò per la sua strada, iniziò a viaggiare per l’Europa e nel 1848, l’anno dei grandi sconvolgimenti politici, si schierò con i rivoluzionari, mentre il padre rimase legato alla monarchia asburgica e scrisse pure la celebre Marcia di Radetzky. Tuttavia qualche anno più tardi – e soprattutto dopo la morte del genitore, quando poté unire le due orchestre – Johann Strauss divenne il compositore ufficiale della casata e nel 1862 fu nominato direttore musicale dei balli di corte: anche l’imperatrice Sissi, sposa di Francesco Giuseppe, danzava sulle sue musiche. Nella sua carriera, Strauss figlio compose a raffica più di 500 brani di musica da ballo e da concerto, così come un’opera e 15 operette, fra cui Lo zingaro barone e Una notte a Venezia. E nel 1873 egli stesso diresse i Wiener Philharmoniker nella loro prima esecuzione di An der schönen blauen Donau, quel Danubio blu che oggi è considerato quasi l’inno di Vienna, ed è fra gli immancabili bis del concerto di Capodanno.
"Strauss era molto talentuoso nella melodia, ma non era un danzatore – spiegano i curatori della mostra al Theatermuseum – Forse anche per questo seppe guidare la transizione dal valzer da ballo al valzer da concerto". E dietro i suoi trionfi ci furono sempre le donne: non solo la mamma che – almeno per i primi tempi – guidò e sostenne le sue scelte (e gestì la ‘dinastia Strauss’), ma anche le tre mogli, Jetty Trefft che fu indispensabile come manager e segretaria, poi Angelika ‘Lili’ Dittrich che intervenne sui testi delle operette (ma poi si innamorò del direttore del Theater an der Wien), e Adele Strauss che, anche dopo la morte del musicista (nel 1899), continuò a curare la sua eredità artistica.
La mostra testimonia dell’enorme popolarità di Strauss in tanti Paesi e delle sue vorticose tournée da Pavslovsk, Russia (dove ebbe pure una storia con l’aristocratica Olga Smirnitskaya) fino a Boston, in un mondo che stava cambiando. E la sua felice vena artistica viene ripercorsa in parallelo con le mode del tempo, gli abiti, i costumi di scena: c’è anche la spilla da cravatta che i discendenti di Strauss regalarono a Franz Lehar (l’autore de La vedova allegra), considerato il più accreditato successore del re dell’operetta.
Sotto a una teca è esposto – per la prima volta – anche il registro del matrimonio di Johann Michael Strauss, bisnonno di Johann jr, celebrato nel 1762 nella cattedrale viennese di Santo Stefano. Johann Michael era di origini ebraiche e si era convertito al cattolicesimo, ma attorno al 1940 il Reich fece cancellare quella pagina per ‘arianizzare’ totalmente gli Strauss: non potevano esserci dubbi sul fatto che la loro musica fosse rigorosamente, profondamente ‘germanica’. Oggi la consideriamo – sì – molto viennese, ma altrettanto sicuramente global.