"Leggere per lenire il dolore. Cercare un rifugio nella cultura, nel cercare di scoprire il segreto del mondo, per proteggersi dal dolore insostenibile di avere perduto un figlio. Ecco che cosa ho sentito io, aggirandomi nella casa di Benedetto Croce, fra migliaia e migliaia di volumi". Pupi Avati ha percorso in lungo e in largo la casa di Benedetto Croce, il più grande intellettuale italiano del Novecento, come dentro la Biblioteca di Babele descritta da Jorge Luis Borges nel suo racconto più celebre, e più vertiginoso. Avati ne ha tratto un film, dal titolo Un Natale a casa Croce, un film che è in parte documentario e in parte fiction. Il film è stato presentato ieri, in anteprima, al Torino Film Fest. Ieri sera, Pupi Avati ha ricevuto il Premio speciale fondazione CRT del festival.
Dice il direttore artistico del TFF, Giulio Base: "Pupi Avati è un grande artista a tutto tondo che ha esplorato praticamente ogni tipo di arte: la musica, la letteratura, la televisione, il cinema. E inesausto, continua a presentare opere interessanti e spiazzanti, in una ricerca continua del senso estetico ed etico della vita".
Avati, che effetto le fanno queste parole?
"Mi viene da pensare sempre a mia madre, che non c’è più, e che sarebbe felice di vedere suo figlio ricevere un premio. Un premio a quel figlio che suonava il clarinetto e che alla fine non si è mai laureato. Ma che evidentemente continua a cercare, come dice Giulio Base, il senso delle cose".
Per girare il film, è stato realmente nella casa che tu di Benedetto Croce?
"Sì, ed è questo il regalo che mi ha fatto il film. Grazie a Benedetta Craveri, storica del costume e nipote del filosofo, siamo potuti entrare nella casa in cui Croce ha abitato per l’ultima parte della sua vita. È una biblioteca infinita, dove non c’è un angolo che non contenga centinaia e centinaia di libri. La cultura, la conoscenza fu il suo modo di combattere il dolore".
Il dolore della perdita del figlio?
"E prima ancora, il dolore di aver perso, in 60 secondi, il padre, la madre e la sorella. Accadde nel 1883 nel terremoto di Casamicciola, ad Ischia, dove la famiglia Croce era in vacanza. Fu il padre che, nel minuto terribile in cui tutto crollava, spinse il figlio, diciassettenne, nel terrazzo dell’abitazione, salvandogli la vita".
Croce fu accolto dalla famiglia del filosofo Bertrando Spaventa, e iniziò la sua formazione culturale.
"Sì, iniziò una ricerca intellettuale che nutrì tutta la sua vita. E che ebbe momenti di profonda crisi, come quando dopo un’iniziale adesione al fascismo se ne allontanò, in seguito al delitto Matteotti e scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti, che gli costò la rottura dell’amicizia storica con il suo collega filosofo Giovanni Gentile. Croce divenne una delle poche voci fuori dal coro del fascismo".
Come ha strutturato il film?
"Come un pranzo di Natale a casa Croce. Un pranzo al quale sono invitate le figlie del filosofo. Ho dovuto lavorare molto di fantasia, perché non ci sono praticamente filmati che ritraggono Croce: solo alcune foto".
Che lezione ha tratto dall’esplorazione della vita di Croce?
"Lui, nello studio, ha trovato la panacea per curare i suoi dolori. Questa è la lezione che mi ha dato. Grazie alla conoscenza, riuscì a superare anche il dolore per la morte di Giulio, il suo unico figlio maschio, morto a poco più di un anno. Croce studiava, leggeva; andava a letto vestito, per non perdere tempo. Per tutta la sua vita è andato in giro per bancarelle, a cercare quei libri che non possedeva. Gli chiesero che cosa amasse di più di Roma. Rispose: “La biblioteca del Senato“. Anche io condivido quella sua passione".
È un ricercatore di libri sulle bancarelle, lei?
"Ho mille libri che voglio ancora leggere, nonostante la mia età. Ho fatto un patto con Dio: mi farà morire quando avrò letto tutti i libri che ho in casa e non ho ancora letto. Ma ho un trucco: ne compro sempre di nuovi!".