Roma, 2 luglio 2018 - «Ivrea, la città ideale della rivoluzione industriale del Novecento, è il 54° sito Unesco italiano. Un riconoscimento che va a una concezione umanistica del lavoro propria di Adriano Olivetti, qui pienamente portata a compimento, in cui il benessere economico, sociale e culturale dei collaboratori è considerato parte integrante del processo produttivo». Questo il commento del neoministro dei Beni e delle attività culturali, Alberto Bonisoli, per l’inserimento della città piemontese nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Non è invece passata dopo due ore di dibattito, per soli due voti – non sono mancate contestazioni e proteste, Coldiretti in testa – la candidatura delle Colline del Prosecco: la maggioranza richiesta per l’iscrizione immediata era di 14 su 21 Paesi componenti del Comitato. Nella decisione finale il Comitato dell’Unesco ha riconosciuto «le alte potenzialità del sito candidato, che ha elementi di unicità che devono essere meglio precisate. E invita l’Italia a presentare il prossimo anno il dossier con le correzioni richieste per l’iscrizione». Faremo tutte le integrazioni al dossier sulle Colline del Prosecco che l’Unesco richiede», assicura il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia.
Nel 1898 Carducci le aveva reso omaggio nelle sue Rime: Ivrea la bella che le rossi torri specchia sognando a la cerulea Dora nel largo seno, fósca intorno è l’ombra di re Arduino... Oggi l’Unesco - puntando più sull’aspetto economico-sociale della città piemontese legata al nome Olivetti - inserisce “Ivrea città industriale del XX secolo” nella lista del patrimonio mondiale, confermando il primato dell’Italia, prima fra i 108 Paesi rappresentanti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, con ben 54 località riconosciute dall’Unesco. «Seconda è la Cina che, se riesce a inserire il sito culturale e il sito naturale, va alla pari», sospira Carlo Francini, coordinatore scientifico dell’associazione Beni italiani patrimonio mondiale Unesco e referente per il sito “centro storico di Firenze", iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale dal dicembre 1982.
Ma quanto vale l’ambitissimo riconoscimento mondiale, quali sono vantaggi e obblighi legati alla legittima incoronazione? Dato che non di solo pane vive l’arte, in tempi di vacche magre la prima questione è legata all’aspetto finanziario, ovvero l’assegnazione (o meno) di fondi da investire in manutenzione o valorizzazione del sito in caso di vittoria. «Assollutamente no, anzi ci sono investimenti da fare e parametri da rispettare, ma il ritorno è immenso - riprende lo storico dell’arte fiorentino - . Non esiste un preciso valore venale della World Heritage List, dipende dalla capacità di ogni territorio. Nel caso di Ivrea, si tratta di un risultato importante, in quanto non si tratta di una candidatura legata all’originalità (come spesso accade oggi), ma al valore sociale della città. legato alla sua architettura contemporanea».
Se l'Italia non sempre è stata in grado di sfruttare la sua supremazia, non ha mai perso un riconoscimento Unesco, com’è accaduto alla Germania che, nel 2009, ha visto ha visto espellere Dresda dalla lista. La prima investitura risale al 1979, quando le incisioni rupestri della Val Camonica entrarono nell’elenco; quest’anno Ivrea, sfumata invece l’ipotesi Colline del Prosecco. In quasi 40 anni i nostri siti sono rimasti tutti fra i tesori patrimonio dell’umanità da difendere, cosa non del tutto scontata, come insegna il caso Dresda. Dopo una votazione a scrutinio segreto esiste la possibilità di venire “cancellati”, previo avvertimento e ammonizione. Se le caratteristiche che hanno portato al riconoscimento continuano a non essere tutelate, si perde il titolo. Che difficilmente si recupera.
Ma come si candida un sito alla lista Unesco? Chi può richiedere di inserire nell’elenco un luogo o un tesoro immateriale (vedi la pizza)? «Come stabilito dalla Convenzione del 1972, ogni Stato membro deve presentare una Lista di siti del proprio Paese che rispondano ai criteri stabiliti dalla Convenzione stessa», spiega il sito dell’organizzazione internazionale. Dipende dal bene in oggetto, non c’è un iter fisso: a volte la richiesta arriva dal basso, dagli abitanti dei territori che riconoscono al bene un valore particolare, altre volte da enti, regioni e così via. Ciò che fa maggiormente gola è il richiamo turistico che può animare il territorio per cui viene espressa la candidatura e proprio per questo l’Unesco ha posto dieci criteri di inserimento nella Lista abbastanza rigidi. I riconoscimenti rappresentano una cassa di risonanza mondiale: se Firenze, Venezia o Napoli non hanno forse bisogno di aumentare la loro visibilità, diverso è il discorso per il Castel del Monte in Puglia, ed esempio, inserita in lista nel 1996 o l’Orto botanico di Padova (1997), il Duomo, Torre Civica e piazza Grande di Modena (1997). Per loro diventare bandiera Unesco può davvero fare la differenza.