Sabato 27 Luglio 2024
ANDREA MARTINI
Magazine

Priscilla e le altre, la rivincita delle donne-ombra

Riflettori sui film in gara che distruggono il cliché delle consorti-muse dei grandi disposte ad accettare tutto: dalla Presley alla Bernstein

di Andrea Martini

Finalmente dalla parte di loro. Il rovescio della medaglia o, se si vuole, il mondo visto dall’emisfero opposto. Donne considerate fino ad oggi gregarie, subalterne alla star, alla celebrità, vengono inondate di nuova luce dai racconti dello schermo, in gara a Venezia, sempre più sensibili alle loro figure. Sofia Coppola ha avuto il suo daffare e qualche psicanalista per liberarsi dell’ingombrante immagine paterna ma da allora ha intessuto una lunga trama di eroine. Ultima Priscilla Presley la fidanzata bambina, la moglie paziente, la madre premurosa in perenne attesa del guerriero dalla vita spericolata. Così almeno raccontata dai media che all’epoca ne fecero il ritratto: un’ingenua studentessa intrappolata dietro i cancelli di Graceland in una bizzarra relazione di dipendenza con Elvis. Invece Priscilla by Coppola appare tutt’altro. Consapevole della claustrofobica situazione in cui il re del rock la mette, seppure al centro della magione di Memphis, sofferente per l’astinenza prematrimoniale che sente umiliante. Ancor più se paragonata alle prodezze degli affaires del cantante che i magazine sbandierano. Ma capace, giovanissima, di capire le ragioni del suo isolamento e di combatterlo quando lo staff dell’idolo cerca di rimodellarne non solo l’immagine ma anche il carattere. E di opporsi ai dettami di quella corte: seppure in tutt’altri termini il suo destino non è lontano da quello di Lady Diana. Insomma, Priscilla sa di essere usata per tenere a bada i censori di Elvis. Sarà un caso che man mano che lei cresce Elvis diventi sempre più infantile, paranoico e insignificante?

Simile sorte per la moglie di Leonard Bernstein, al secolo Felicia Montealegre Cohn. In Maestro Bradley Cooper fa uscire dall’ombra la donna attrice di teatro costretta al ritiro dall’ingombrante marito, star indiscussa non solo del mondo musicale ma della cultura americana. Donna brillante, affascinante (interpretata con ironia da Carey Mulligan), per lungo tempo indotta dal senso della famiglia a coprire le sempre più audaci sortite omo del consorte ma poi alla fine in grado di spiattellargli de visu il proprio oltraggio. La sua resistenza nasce dalla consapevolezza dei sacrifici che l’arte chiede non solo a chi la pratica ma anche ai loro partner e ai loro figli. Il che non le impedisce, al momento giusto, di prendere la propria strada pur nell’amarezza di un destino felice infranto. La forza d’animo di questa donna pareggia l’energia con cui il celebre marito dirige le sinfonie di Mahler. Grazie a Cooper Felicia esce dal cono d’ombra creato dalla luce del marito.

Meravigliosa sintesi delle potenzialità inespresse della femminilità si trova in Poor Things, seppure presa a prestito dal romanzo di Alasdair Gray (in Italia Povere creature, Safarà Editore), di Yorgos Lanthimos. Bella è il frutto di un Frankenstein vittoriano che rende alla vita il corpo di una suicida innestandole il cervello del proprio feto. Ma niente orrore e invece molta ironia e perspicacia. La giovane donna rinasce a nuova vita, priva di ogni apprendimento. Imparare a camminare, a parlare a esprimere emozioni, a godere del proprio corpo. Femminilità allo stato puro: goffa ed elegante, ingenua ma geniale la protagonista di Poor Things è la donna senza tabù, priva di secoli di condizionamento maschile alla conquista del mondo. Stupefacente, brillante, metafora dell’emancipazione femminile.

Non a caso il film è il più accreditato al Leone e Emma Stone al premio d’interpretazione.