Martedì 15 Ottobre 2024
MATTEO MASSI
Magazine

Pregando un Dio selvaggio: il mistico Nick Cave

Da “The Boatman’s Call“ all’ultimo “Wild God“: la rinascita del grande rocker è il compimento di un percorso spirituale sempre più intenso

Pregando un Dio selvaggio: il mistico Nick Cave

Nick Cave: il rocker, 67 anni, sarà in concerto domenica a Milano (unica data italiana)

Dieci mesi fa si mise al pianoforte, all’interno di una chiesa. Era l’8 dicembre 2023, il giorno del funerale di Shane McGowan. Un religioso silenzio – e non solo perché si era in un luogo sacro – accompagnò l’esecuzione di Nick Cave.

Quel giorno per rendere omaggio al cantante dei Pogues cantò A Rainy Night in Soho, una canzone del disco fatto insieme qualche anno prima. Cave in quel momento era rapito: suonava, cantava e pensava al dolore per la dipartita dell’amico Shane. Gli occhi – quasi per ogni istante di quella canzone – sembravano essere sul punto di lustrarsi dal pianto, ma poi la forza magica – quasi mistica – di quel pezzo che racchiudeva uno dei tanti passaggi, una delle tante linee d’ombra della sua vita, prendeva il sopravvento.

Ci sono tanti modi (e maniere) per elaborare un lutto, per fare i conti con il dolore, per considerarlo quasi una variabile inevitabile della propria vita. Perché non si può sfuggirvi, solo se ne prende consapevolezza. Nick Cave, da tempo, ha scelto la musica, le sue canzoni per affrontare questi passaggi che mettono a dura prova l’esistenza di qualsiasi individuo.

Nel giro di appena sette anni ha perso due figli. Nel 2016 quando il suo Arthur era morto da nemmeno un anno, cantava quasi declamando questi versi: "All things we love we love we love, we lose". Tutte le cose che amiamo, amiamo, amiamo poi le perdiamo. Il destino l’avrebbe messo di fronte a un’altra dolorosa perdita: nel 2022 muore anche il suo figlio maggiore Jethro Lazenby (nato dalla relazione con la modella Beau Lazenby).

E arriviamo a questo 2024 sul finire dell’estate Cave è tornato con un disco: Wild God. Il dio selvaggio. Un disco – e non è un paradosso – in cui la parola più frequente è joy, gioia. Lui, senza nemmeno la minima smorfia, lo definisce il suo inno alla gioia. Come si può ribaltare il dolore con la gioia? Com’è possibile? C’è una via maestra che Cave segue da un po’, da quando Dio è entrato nella sua casa. All’inizio del millennio l’orizzonte del cantautore australiano è completamente cambiato. La sua God is in the House (tratta da More Shall We Part, 2001) cristallizza non tanto la ricerca di Dio – che è sempre stata comunque costante in Cave anche negli anni punk, quando citava le Sacre Scritture nelle sue canzoni – ma il punto d’arrivo. Che era stato anticipato dal precedente album Boatman’s Call (1997). E così tutto si tiene in questo percorso musicale-umano in cui tende all’Assoluto (con la A maiuscola).

Di recente Cave in una trasmissione tv The Late Show with Stephen Colbert, ha detto: "La musica è una delle ultime opportunità legittime che abbiamo per fare un’esperienza trascendentale". E in questo, probabilmente, viene in aiuto per capire l’universo Cave la canzone Frogs dell’ultimo disco: le rane che evocano sì le Sacre Scritture, così come la classicità della commedia di Aristofane e perfino la visionaria contemporaneità di Paul Thomas Anderson nel finale spiazzante di Magnolia. In questo pezzo viene evocata con forza la storia di Caino e Abele, mentre una coppia – con le campane che suonano – sta tornando a casa dopo la messa.

A proposito di questa canzone Cave ha detto: "Per un istante saltiamo verso l’infinito, l’amore, la meraviglia e la trascendenza e l’istante dopo siamo di nuovo nel fango". E quei "bambini in paradiso/ stanno saltando per la gioia" non può non far pensare al vissuto doloroso, alle tragedie familiari di Cave.

Sì, il suo percorso artistico – da Boatman’s Call in poi e fino a proprio Wild God – è netto. E anche quello umano. "La realtà è che la fede mi offre uno spazio – insiste Cave – in cui portare delle emozioni che non saprei come affrontare altrimenti". È possibile così alla fine trovare una pacificazione, superando anche dolori disumani, e tornare a vivere. C’è davvero qualcosa di mistico e trascendentale nell’ascoltarlo. Tornando all’inizio, a quella scena: lui al pianoforte, gli occhi sul punto di commuoversi e la canzone per il suo amico Shane. Brividi, anche per chi in quel momento non era dentro la chiesa. Brividi anche in differita, fino a emozionarci. Perché in fondo è come vorremmo dare forma al dolore provato, senza appunto paralizzarci, ma liberando invece energie e sentimenti. Per ricominciare.