La qualità dell'aria non si misura solo dalla concentrazione delle polveri sottili. A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials, che ha confrontato gli inquinanti atmosferici in città e campagna, rilevando rischi simili per la salute nonostante nelle aree rurali ci siano quantitativi inferiori di Pm2,5 (il particolato con diametro uguale o sotto i 2,5 micrometri) rispetto alle zone urbane. La ricerca sfata in un certo senso anche il mito secondo cui allontanarsi dallo smog cittadino equivalga automaticamente a respirare aria più pulita.
Aria di città vs. aria di campagna
L'indagine, a cura di un team dell'Università dell'Illinois, ha messo sotto esame i campioni d'aria raccolti settimanalmente tra il 2018 e il 2019 in tre città (Chicago, Indianapolis e St. Louis) e una località rurale del Midwest. Analizzando la composizione, la massa e il potenziale ossidativo di ogni provetta, i ricercatori hanno scoperto che in campagna la massa di Pm2,5 è relativamente più bassa, ma che in compenso le particelle volatili più fini avevano una spiccata tendenza a trasformarsi in sottoprodotti malsani. Questo perché alcune sostanze hanno maggiori probabilità di altre di generare specie reattive dell'ossigeno (ROS, note anche come radicali liberi), che possono avere effetti tossici sulla salute umana.
Attenzione alle sostanze provenienti dalle attività agricole
Gli scienziati si sono concentrati in modo particolare sull'agricoltura, scoprendo che da lì proveniva più del 60% del potenziale ossidativo dell'atmosfera, contro il 54% del potenziale ossidativo registrato nei siti urbani. Tra le varie cose, si è ad esempio osservato che in campagna elementi chimici come il piombo, l'alluminio, il rame e il manganese erano fortemente legati a una maggiore concentrazione di ROS durante l'inverno e l'autunno. Questo dato si può spiegare con l'impiego di fertilizzanti ed erbicidi spruzzati stagionalmente sulle colture, con la conseguente dispersione di metalli pesanti tra cui il piombo o il cromo. Al contrario le attività agricole hanno contribuito in minima parte (12% del totale) alla massa di Pm2,5 presente nell'aria, mentre oltre l'80% delle polveri del sito rurale erano riconducibili a una centrale a carbone distante 12 chilometri. Se ci si fosse limitati a misurare i livelli di Pm2,5, sottolineano gli autori, i combustibili fossili sarebbero stati additati come il fattore più pericoloso per la salute umana senza porsi troppe domande.
Le polveri sottili non sono tutte uguali
"Nel complesso il nostro studio indica che le fonti che contribuiscono alla massa di Pm2,5 non sono tutte ugualmente importanti in termini di effetti sulla salute", si legge nel documento. Detto in altro modo, i ricercatori sostengono che le valutazioni sull'inquinamento atmosferico dovrebbero essere basate più sul potenziale tossico delle particelle sottili che sulla loro massa effettiva, e che serva dunque sviluppare nuove metriche per misurare la reale portata del danno. "Nonostante un contributo minore alla massa di Pm2,5, i rischi per la salute delle attività agricole non possono essere ignorati", concludono gli autori.