Domenica 1 Settembre 2024
STEFANO MARCHETTI
Magazine

Pazzi, una vita alla ricerca del sacro perduto

Il grande scrittore è scomparso nella sua Ferrara a 77 anni. Ha raccontato la rivoluzione russa vista dallo zar e l’eterna inquietudine tra fede e laicità

Pazzi, una vita alla ricerca del sacro perduto

Pazzi, una vita alla ricerca del sacro perduto

Uno dei libri che continuava a rileggere era la Recherche di Marcel Proust. In fondo, tutta la vita di Roberto Pazzi è stata un’inesauribile ricerca, un affresco di grandi domande, prima ancora che di granitiche risposte. "Fin da ragazzo c’è un pensiero che mi accompagna, quello della morte – ci aveva confidato in una conversazione di due anni fa –. “Perché sono nato se non per sempre?“, diceva Ionesco". Ma in fondo – aggiungeva – "senza la morte la vita sarebbe insopportabile, l’immortalità sarebbe la ripetizione di tutto". Quella morte che proprio ieri ha bussato alla sua porta: narratore, poeta, docente e giornalista, tradotto in 26 lingue, nonché apprezzato opinionista di Qn e Il Resto del Carlino, Roberto Pazzi si è spento all’ospedale della sua Ferrara, dove era ricoverato da una settimana. Aveva 77 anni.

Originario di Ameglia (La Spezia), Pazzi viveva a Ferrara da sempre. Si era laureato in Lettere a Bologna con Luciano Anceschi, ha insegnato nelle scuole superiori poi agli atenei di Ferrara e di Urbino. Le atmosfere antiche e metafisiche della città (dove ha fondato anche Itaca, scuola di scrittura creativa) lo accompagnavano e lo ispiravano: "Sono ironico, ariostesco, metà pagano, metà cristiano, metà incredulo e laico, metà mistico", si definiva. Un uomo animato da una profonda curiosità e inquietudine intellettuale che proprio nelle eterne domande trovava la sua chiave: "Sono incapace di restare nel gregge e di adeguarmi al consenso comune", diceva.

Il sacro e la storia sono stati sempre i territori della sua “recherche“ che si è dipanata in più di trenta libri. Già negli anni ‘70 Roberto Pazzi pubblicò alcune raccolte in versi ma fu il suo esordio narrativo, con Cercando l’imperatore (edito da Marietti nel 1985), a renderlo amato dal grande pubblico. In quel romanzo, con la postfazione di Giovanni Raboni, Pazzi raccontava la rivoluzione russa dalla parte di chi l’aveva perduta, lo zar Nicola II e la dinastia dei Romanov: "Nel mio immaginario di poeta assetato di epica, prediligevo le cause dei perdenti – scrisse –. E chi più perdente dello zar, massacrato con i suoi giovani figli, come il nostro conte Ugolino? E senza nemmeno il processo che la Rivoluzione Francese concesse a Luigi XVI e Maria Antonietta".

Fra i suoi romanzi più famosi e premiati, Vangelo di Giuda del 1989, in cui affioravano anche le grandi questioni su Cristo e sulla Chiesa, o Conclave del 2001, storia della tormentata elezione di un nuovo Pontefice, quasi ad aprire la strada a quell’ Habemus Papam che Nanni Moretti avrebbe raccontato al cinema dieci anni dopo. E Hotel Padreterno, pubblicato due anni fa, in cui Roberto Pazzi immaginava che Dio scendesse sulla Terra, in Italia, per immergersi nella vita della sua creature, nel Bene e nel Male: "Personalmente credo in Dio ma non sono sicuro che sia come ce lo consegnano le religioni monoteistiche", ammetteva lo scrittore.

Quasi come un’ultima mozione degli affetti, proprio fra pochi giorni La Nave di Teseo manderà in libreria La doppia vista, il romanzo che Roberto Pazzi ha completato appena poche settimane fa: la storia di uno scrittore che si sveglia una mattina in uno stato di grande confusione, non ricorda più chi sia, e inizia a confondere i suoi personaggi con le persone che più ha amato nella vita. Nella sua “doppia vista“ le invenzioni letterarie si sovrappongono agli affetti privati, l’immaginato diventa vissuto. "Caro Roberto, amico di una vita – è il pensiero che Elisabetta Sgarbi ha dedicato allo scrittore –. Te ne sei andato quando è arrivato il tuo ultimo, finale libro: uno scambio tra vita e vita, tra vita terrena e vita letteraria, che ha eluso la morte, scambio di cui solo i veri scrittori sono capaci. Ci costringerai a parlare non della tua assenza, ma della tua presenza nelle tue pagine letterarie. Hai voluto così".