Venerdì 20 Dicembre 2024
SIMONA BALDELLI
Magazine

Paradosso della tolleranza: il caso Tony Effe e la libertà di espressione

Esploriamo il "Paradosso della tolleranza" di Popper nel contesto della censura e libertà di espressione, con il caso Tony Effe.

Il trapper romano Tony Effe, all’anagrafe Nicolò Rapisarda, 33 anni. In alto la locandina del suo concerto di Capodanno

Il trapper romano Tony Effe, all’anagrafe Nicolò Rapisarda, 33 anni. In alto la locandina del suo concerto di Capodanno

C’è una bizzarria che si chiama “Paradosso della tolleranza”. Si usa per valutare se una scelta sia o meno opportuna. Fino a dove si può applicare la tolleranza prima che diventi un pericolo per i tolleranti? Il paradosso è stato definito dal filosofo ed epistemologo Karl Popper: una società eccessivamente tollerante rischia di implodere e di essere dominata proprio dagli intolleranti presenti al suo interno, cui ha permesso di prolificare. In definitiva, secondo questo paradosso, essere intolleranti nei confronti degli intolleranti è necessario per permettere a una società di rimanere aperta (e tollerante). Ci ho ripensato a proposito dell’invito del Comune di Roma a Tony Effe, poi annullato, al concerto romano di Capodanno.

Parafrasando Popper: può una società definirsi etica se permette e promuove pubblicamente idee che contrastano l’etica con cui si identifica? Deve dare spazio pubblico all’istigazione alla violenza, soprattutto di genere?

Nel momento in cui sto scrivendo, solo in Italia, nel 2024 abbiamo già superato il centinaio di femminicidi.

Da una rapida e facile ricerca su Internet, si può osservare che la maggior parte dei cantanti che hanno evocato la censura per l’estromissione del collega e si sono ritirati dal concerto, fanno parte della sua stessa Casa discografica.

Voglio però pensare che non vi siano state pressioni da parte loro e che siano realmente, e legittimamente, preoccupati da un clima censorio su molti fronti. Lo dico senza ironia né intento polemico. So per esperienza personale quanta violenza ci sia nella censura.

La libertà di espressione è sancita dall’articolo 21 della nostra bellissima Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“. Da brividi, vero?

Torniamo alla questione Tony Effe e proviamo a ragionare se c’è lesione o meno della libertà di qualcuno. Nessuno gli impedisce di scrivere canzoni, cantarle, promuoverle. Passano in radio, sulle piattaforme, in televisione. Lo vedremo a Sanremo a febbraio al Festival e verrà giù il teatro Ariston per gli applausi.

Questo, per esempio, è un passaggio di un brano, simile ad altri: “Sono Tony, non ti guardo nemmeno a novanta così neanche ti vedo mi dici che sono un tipo violento però vieni solo quando ti meno”.

Le parole sono importanti, e danno forma ai pensieri. Definiscono la nostra idea di mondo e di immaginario. Nel rap e nella trap, sia cantata da uomini che da donne, c’è un modo contiguo di intendere l’emarginazione, la mancanza di prospettive, di libertà (come esseri umani, intendo). Un asfittico bisogno di appartenenza. Sono tua, sei mia, ti prendo, mi prendi. Come se ragazzi e ragazze formassero un unico cordone per difendersi dagli adulti che gli hanno sottratto il futuro. Un’immensa periferia col suo proprio linguaggio da tribù che si scontra con quello dei centri gentrificati e presidiati dai vecchi. A loro modo, tentano una rivoluzione.

Però qui entra in ballo uno spazio politico, (nel senso della polis), dove i singoli non hanno la libertà di difendersi dal linguaggio violento sul palco. Non c’è telecomando, possibilità di cambiare stazione radio, piattaforma musicale. Non posso switchare, anche se quello che ascolto mi fa male e mi offende.

E qui sta il punto, a mio parere: la contrapposizione di Oikos e Polis, privato e pubblico. Il diritto dei cittadini di rivendicare la propria libertà, contrapposto alle regole che la città si è data per la tutela della comunità.

Dobbiamo soddisfare il nostro desiderio individuale (e allora è lecito tutto), oppure la società deve mettere un argine per difendere i più fragili (e in tal caso l’individuo deve fare un passo indietro)? Qual è la scelta? Dove finisce l’etica (nel senso aristotelico del termine, ovvero la riflessione sul comportamento degli individui e i valori comuni su cui orientano le scelte) e dove inizia la censura?

Questione spinosa, che interroga tutti. Altrimenti si ribaltano i termini del concetto (e qui, cambiando i fattori, cambia anche il risultato) e rischiamo che la tolleranza sia solo un paradosso.