Schivo, introverso, a tratti indecifrabile, parco nelle parole e lauto di note. Questo il ritratto che affiora dalle pagine di Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre (edito da Sperling & Kupfer) scritto da Marco Morricone, 67 anni, figlio primogenito del musicista e Valerio Cappelli, giornalista, commediografo e amico di lunga data.
Che tipo di rapporto c’era tra lei e suo padre?
"Un rapporto difficile, complicato. Tutti i padri vanno a lavorare: escono la mattina e tornano la sera. Mio padre no, lavorava a casa. Usciva soltanto per andare a registrare. Ha vissuto in una dimensione tutta sua, artistico-matematica, che lo ha isolato dalle situazioni di quotidianità. Tra me e lui, un susseguirsi di scontri e contestazioni fino ai miei 40 anni. La ricerca per cercare di comprendere è stata faticosa ma in età matura ho capito che se io avessi aspettato ancora a prendere l’iniziativa, non avrei mai scoperto mio padre: dovevo muovermi io, anche per rispondere a un obbligo morale. Mio padre aveva una modalità comunicativa assolutamente anomala: esprimeva le emozioni con la musica, empatizzava con il suo pubblico e nel suo lavoro. Il libro è un ritratto personale di papà. Il protagonista sono io bambino che cerco di avvicinarmi a lui dai miei 5 anni in poi per cercare di capire l’uomo indipendentemente dalla sua professione e dal suo successo. Molti sono gli aneddoti che nessuno conosceva. Il libro è stato la chiusura di un cerchio, l’elaborazione definitiva del lutto".
E adesso il suo mestiere non ha nulla a che vedere con la musica…
"Quello del musicista è l’ultimo mestiere al mondo che avrei fatto. Ho lavorato 30 anni alla Siae, poi è stato mio padre a chiedermi di accompagnarlo nei suoi viaggi di lavoro. Adesso faccio tutt’altro: sono dirigente d’azienda nel settore immobiliare e automobilistico".
E il rapporto di Ennio con la moglie, la signora Maria, sua madre?
"Il loro è stato un rapporto profondissimo anche sul fronte del lavoro. Negli ultimi anni lui non leggeva più un copione. Lo faceva mia madre e glieli raccontava. Una sorta di associazione lavorativa. Mamma ha sempre avuto un grosso ascendente nelle scelte professionali di papà. Adesso lei ha 92 anni, sempre lucida ma con gli acciacchi dell’età".
Ennio, il docufilm di Tornatore, rivela davvero la personalità di suo padre?
"Beh. Corrisponde alla pura verità, è lui che si è raccontato senza nessuna maschera, svelando come effettivamente è andata la sua vita senza nessun tipo di copertura o inibizione".
Anche il rapporto con il suo maestro, Goffredo Petrassi, non è stato idilliaco.
"Petrassi non accettava il fatto che papà si dedicasse così ampiamente alla musica commerciale però quando gli diede qualche dolore in più, gli disse: “So che tu recupererai…“. Ma è pur vero che i due binari scorrevano paralleli, ognuno nella propria direzione, poi alla fine si sono incontrati. Fu il tema di Deborah in C’era una volta in America a riavvicinarli".
Morricone emarginato dai circuiti della musica colta?
"Sì, se si pensa che è diventato Accademico di Santa Cecilia a 72 anni. Papà ha scritto musiche per oltre 500 film ma anche più di 120 opere di musica assoluta, poco considerate, che ci ha raccomandato negli ultimi giorni di vita. Il suo desiderio era che venissero eseguite anche quelle. Ci siamo trovati con parecchie di queste opere ancora inedite, scritte a penna. Non sapeva neanche come si accendeva un computer. Stiamo lavorando per stringere accordi con alcune orchestre europee per l’esecuzione di queste partiture. La produzione pianistica è più conosciuta, grazie al pianista Roberto Prosseda che vi si è dedicato a lungo e profondamente".
Il più grande pregio e il peggior difetto di suo padre?
"Papà era una persona profondamente onesta, leale, con un’etica smisurata. Quanto ai difetti, in casa, quando facevi una cosa bene non ti gratificava mai e questo ha pesato tanto. Ma con l’età nessuno più resta ancorato all’attesa delle risposte. Questo l’ho decodificato dopo. Papà era figlio della guerra: vedere la gente morire a dieci metri di distanza ti indurisce l’anima, ti chiude come una tartaruga nella sua casetta. Ma al contempo ha mantenuto una sensibilità quasi infantile: per scrivere tanta e tale musica occorreva far convivere queste due opposte entità".