Los Angeles, 11 marzo 2024 – "20 giorni a Mariupol" ha vinto l'Oscar nella categoria "Miglior documentario": è il primo film ucraino a vincere il prestigioso premio dell'American Film Academy. Si tratta di un documentario del regista e corrispondente di guerra Mstislav Chernov.
Nel marzo 2022, lui e il suo collega, il fotografo Evgeniy Maloletka, furono gli ultimi giornalisti rimasti a Mariupol, completamente assediata dalle truppe russe.
Durante la cerimonia di premiazione, Chernov ha sottolineato che l'Oscar del suo film è stato un momento fondamentale per il cinema ucraino, ma allo stesso tempo il regista ha ammesso che avrebbe preferito non realizzare mai questo film e avrebbe barattato il premio con la pace che esisteva in Ucraina, prima dell’invasione russa. "Vorrei poterlo scambiare con la Russia, che non attaccasse mai l'Ucraina, non occupasse mai le nostre città. Vorrei dare tutto il merito al fatto che la Russia non avesse ucciso decine di migliaia di miei concittadini", ha detto il regista nel suo discorso. Ha anche aggiunto che scambierebbe l’Oscar con la Russia per il rilascio di tutti i prigionieri di guerra e gli ostaggi civili, e ha invitato la comunità cinematografica globale a "correggere la storia" in modo che "la verità prevalga".
Accanto a lui durante la cerimonia di premiazione c'erano altri autori del film: il fotografo Evgeniy Maloletka, la giornalista Vasilisa Stepanenko, i produttori Rainey Aronson-Rath, Michelle Mizner e Derle McCrudden.
L’orrore a Mariupol
"Abbiamo visto morti in ospedale, cadaveri nelle strade, dozzine di corpi spinti in una fossa comune. Abbiamo visto così tanta morte che l'abbiamo ripresa quasi senza più rendercene conto". Un racconto dall'inferno quello fatto nel marzo 2022 da Chernov e Maloletka, i due giornalisti dell'Associated Press rimasti per venti giorni all'interno di Mariupol, la città martire assediata dai russi, dove si sono verificate alcune delle stragi più cruente di questa guerra.
Mstyslav Chernov ed Evgeniy Maloletka, entrambi corrispondenti di guerra con una grande esperienza sul campo, erano lì e hanno lasciato testimonianze preziose del conflitto ucraino. Sono gli unici reporter di testate occidentali che hanno visto da vicino quell'orrore, diventato un lungo reportage per raccontare come sono sopravvissuti tra i colpi di artiglieria. Entrambi ucraini, conoscono in profondità le dinamiche di quell'area e avevano scelto di andare nella città portuale ben sapendo che sarebbe finita nelle mire di Mosca per prendere il controllo totale del mare d'Azov e congiungere la Crimea al loro territorio.
Sono loro ad aver scattato alcune delle foto simbolo della guerra, a partire da quelle della donna incinta trasportata su una barella fuori dall'ospedale e morta poco dopo insieme al bambino che aveva in grembo, e dell'influencer ucraina Marianna Podgurskaya, con il volto coperto di sangue e avvolta in un piumino, che poi ha invece partorito. Immagini che hanno provocato le ire di Mosca, con le accuse, avanzate anche davanti all'assemblea dell'Onu, di fabbricare fake news. Proprio in quell'ospedale i due reporter sono stati prelevati dai militari ucraini. "Stavamo lavorando all'interno dell'ospedale quando uomini armati hanno iniziato a perlustrare i corridoi – aveva raccontato Chernov –. I chirurghi ci hanno dato dei camici bianchi da indossare per confonderci tra loro. Improvvisamente, all'alba, una dozzina di soldati irrompono: 'Dove sono i giornalisti?'. Ho guardato i loro braccialetti, blu per l'Ucraina, e ho cercato di calcolare le probabilità che fossero russi travestiti. Mi sono fatto avanti per identificarmi. 'Siamo qui per tirarti fuori', hanno detto". I russi li cercavano, perché la loro presenza intralciava i piani di Mosca. "All'inizio non riuscivo a capire perché Mariupol si fosse disintegrata così rapidamente – aveva spiegato il cronista –. Era per la mancanza di informazione. Senza notizie provenienti dalla città, senza immagini di edifici demoliti e bambini morenti, le forze russe potevano fare quello che volevano”.
Poi la fuga, con Chernov e Maloletka nascosti in una Hyundai con una famiglia di tre persone. "Quel giorno circa 30.000 persone sono uscite da Mariupol – hanno ricordato –, così tante che i soldati russi non hanno avuto il tempo di guardare da vicino le auto con i finestrini ricoperti da pezzi di plastica che sbattevano. Abbiamo attraversato 15 posti di blocco russi. Ad ognuno di essi, la madre seduta davanti alla nostra macchina pregava abbastanza forte da farci sentire".
Zelensky: “Il documentario ricorda la disumanità dell’invasione russa”
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso la sua "gratitudine" al team degli autori del documentario '20 giorni a Mariupol'. "Questo Oscar è importante per tutto il nostro Paese – ha scritto sui social il leader di Kiev – gli orrori di Mariupol non devono mai essere dimenticati".
"Il mondo intero deve vedere e ricordare ciò che la disumana invasione russa ha portato al nostro popolo. Città e villaggi sono stati distrutti, case bruciate e intere famiglie uccise dai proiettili russi e sepolte nei propri cortili", ha denunciato Zelensky. "Ancora non sappiamo del tutto quante persone siano morte a Mariupol. Tuttavia, le immagini satellitari mostrano cimiteri intorno alla città con migliaia e migliaia di tombe. Questo documentario serve a ricordare perché l'assistenza internazionale, senza ritardi o interruzioni, è così fondamentale per l'Ucraina”, ha proseguito Zelensky.
"Il male russo non si ferma e non cerca la pace. Vogliono infliggere a ogni città che riescono a raggiungere lo stesso destino che hanno subito a Mariupol, Bucha – conclude il presidente – , insieme dobbiamo impedire alla Russia di distruggere vite. Dobbiamo proteggere il nostro Paese e tutta la nostra gente per ripristinare una vita normale senza paura. Sono grato a tutti coloro che nel mondo lo capiscono e continuano a sostenere l'Ucraina. Ringrazio tutti coloro che dicono la verità sui crimini di guerra della Russia".